Da un lato c’è il percorso, dall’altro la performance. È chiaro chi vince e chi perde.

Io mi sentivo e mi sento tuttora così: inadatto alla corsa per conformazione fisica, eppure corro lo stesso. Inspiegabilmente.

Al mare c’erano orari da rispettare, cose che prima o dopo un certo orario non si potevano fare, i bagni erano razionati e sempre supervisionati.

L’evento sportivo globale per eccellenza, che non soltanto ha luogo ogni quattro anni, ma che nella tua città verrà organizzato non più di un paio di volte ogni secolo. E poi? Già.

Quanto potrà mai resistere un formato così in contrasto con le logiche del nostro tempo ansioso?

Merita tutto, questo bambino. L’acqua salata sulle labbra, i capelli bagnati stesi ad asciugare sulle mie spalle.

Un gioco delle parti strillato, una triste messa in scena - così novecentesca - di muscolarità ideologica. Niente più.

Una vita intera a prendere legnate con la convinzione di meritarle.

Di certo romantica la solitudine del soldato, ultimo compagno di viaggio di un mondo destinato a cambiare per sempre, ultimo confessore di un pezzo di metallo pronto a farsi massacro.

E per la prima volta questo pensiero mi ha attraversato la mente, limpidissimo: “C’è ancora speranza.”

Internet è finito; siamo entrati nell’era dell’intelligenza artificiale, dove “media” è una parolaccia, perché sa di fonte. Meglio toglierla.

Potrei lasciar correre, d’altronde lo faccio spesso, potrei dire sì, ok, come ti pare, ma fammi sto Maroccino entro domattina; invece guardo l’orologio: ho ancora dieci minuti.

Ma davvero, scherzi a parte: che mondo è? Come siamo arrivati a questo punto? Algoritmo, che ti ho fatto?

Alla centesima pubblicità, alla millesima affissione, al milionesimo brand al quale presterà il suo bel sorriso, il suo sguardo tenebroso, cosa ce ne faremo della sua parola?

Una cosa ancora sapevate fare: accopparvi a vicenda. Niente. Tutto sfumato in una mira da Ağca qualunque.

Quello che non si può ignorare è il felice multiculturalismo: un elemento non soltanto che in Italia difficilmente si incontra, ma che il più delle volte si teme.

I documentari, prima di Netflix - lo ricordo - erano inchieste giornalistiche o accattivanti incursioni nella vita sessuale dei delfini.

Zendaya non è credibile quando gioca a tennis e di certo non la puoi mettere a correre. Non resta che la gag. Costosissima, ben girata, epperò disperata, esangue, vuota.

I videogiochi, se ho capito bene, sono una roba così grande che, tra chi gioca e chi no, i secondi son quelli strani.

Mi basta una vanga e qualcuno che mi dica dove scavare e quanto profondo.