Kiezfest

La città è così estesa che i quartieri non producono un carattere identitario: a Berlino hanno dovuto inventare un termine per definire il circondario più stretto. Lo chiamano Kiez ed è un angolo, un incrocio di strade, una o tre piazze, non ha importanza, il Kiez è quello che i suoi abitanti vogliono che sia, non ha confini precisi, ma soltanto elementi di appartenenza, come un bar, un giornalaio, un negozio. Sono il bar, il giornalaio e il negozio del Kiez e ogni Kiez ha uno di questi elementi, più il suo parco giochi, la sua fontanella e il suo matto di riferimento. Altrimenti non è un Kiez.

Spesso i Kiez organizzano mercatini e feste. La nostra era oggi, alcune facce le abbiamo riconosciute, altre no. Ma quello che non si può ignorare è il felice multiculturalismo: un elemento non soltanto che in Italia difficilmente si incontra, ma che il più delle volte si teme. Ed è un delitto. Se invece di venire a Berlino per andare a impasticcarsi al Berghain, ci si prendesse anche quella mezza giornata per vivere il tessuto sociale della città, forse potremmo ambire a diventare turisti migliori di quelli che ogni giorno invadono Venezia e Firenze. È la tragedia, tra l’altro, dei fondi tagliati al programma Erasmus: ciò che ci ha insegnato la possibilità di viverlo l’estero, oltre che di surfarne la superficie.

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