Vicino gamer

Due civici in là, al piano terra, abita un gamer professionista. Uno che, non chiedetemi secondo quali meccanismi, campa giocando ai videogiochi. Lo so perché di giorno lo trovo alla scrivania dove registra le dirette, con ring luminoso e microfono professionale, mentre la sera la sua finestra illumina la strada di luci e colori come di discoteca, mentre lui siede col joystick in mano, accasciato su quelle poltrone ultra-ergonomiche, difronte a uno schermo lungo e alto come tutta la parete del nostro soggiorno. Non l’ho mai visto in compagnia, è dedicato alla sua attività con assoluta disciplina e sembra non doversi nutrire d’altro. Avrà la mia età e forse ci assomigliamo pure, almeno così mi pare.

Io di videogiochi non so niente, tranne che è una roba gigantesca, ma tipo che - nell’economia del mondo contemporaneo- tra i due, quello strano quasi certamente sono io.

I videogiochi sono una di quelle cose che ho sempre sbirciato con una certa curiosità, ma che se poi mi ci immagino, anche di sfuggita, a mettermi a giocarci, soltanto a immaginarmelo, mi sento un po’ scemo.

Che poi, chiamalo scemo: farsi pagare per giocare. Mah.

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Così semplice è l’inferno