Ma quale America

La politica da tifo raggiunge il suo apice quando si avvicinano le elezioni statunitensi. Tutti noi sappiamo se stiamo dalla parte di Kamala o con Donald, ma nessuno sa citare nemmeno uno dei punti dei rispettivi programmi. Eppure è specialmente sui temi di politica estera che diventa più legittimo farsi un’opinione, ma se poi chiediamo quali siano le posizioni di Trump o dei Democrats su Cina, Russia, Ucraina, Israele, NATO, WHO, allora le bocche cominciano a impastarsi.

Oggi ho assistito a una conversazione che aveva dell’incredibile, dove due coppie di trentenni (tedeschi) avevano intavolato un dibattito sulle elezioni di novembre, inventandosi di sana pianta dei punti di programma che non soltanto non erano veri, ma nemmeno verosimili. E allora via, uno a gettare addosso all’altra finti aneddoti e virgolettati inventati per tirare acqua al proprio mulino, sortendo come unico effetto lo stupore e il sospetto dell’altra, in un vortice infinito di sciocchezze che nascondevano soltanto un’esasperante impreparazione.

E tutto questo a che fine? Un gioco delle parti strillato, una triste messa in scena - così novecentesca - di muscolarità ideologica che ha finito soltanto per mettere, a me e ad altri astanti, una certa tristezza.

L’America non va capita, va studiata. Senza avere contezza della sua abissale diversità, rispetto ai nostri sistemi europei, le chiacchiere stanno a zero. Di persone che l’America l’hanno studiata e dunque oggi hanno una certa credibilità di opinione sul momento eccezionale che il continente sta attraversando, ce ne saranno una manciata. Sentirli parlare dovrebbe già disincentivare qualsiasi leggerezza. La situazione è così delicata che, personalmente, mi guardo bene da esprimermi a riguardo in alcuna maniera. Suggerisco caldamente di fare altrettanto.

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