a riveder le stelle

ci sono sprazzi di bellezza che, a fatica — ma con la leggerezza di una piuma — ancora si districano dal cavillo di orrori cui siamo tanto avvezzi.

la prima della scala di ieri, senza pubblico e gratuita in chiaro sulla rai, ne è un magnifico esempio. lo sforzo collettivo, come a marzo con bocelli (sigh) nel duomo, di dare lustro al nostro martoriato paese e di valorizzarne le capacità e lo spirito, è un desiderio ancora vivissimo, condiviso da pur ampia parte dell’italia (migliore).

non solo. la spettacolare prima di sant’ambrogio - come di consuetudine dal dopoguerra - è stata anche una preziosa occasione per ritornare a puntare lo sguardo sull’opera e non sul tappeto rosso all’ingresso. merito al merito: finalmente, il servizio pubblico. grande spazio è stato riservato al ruolo della donna, che storicamente - ce lo ha ricordato michela murgia in un bel monologo - nell’opera ha trovato riscatto, insieme alle classi meno abbienti. è proprio questo uno dei momenti più rilevanti della serata di ieri (per paradossale che possa sembrare), in cui - a margine dell’arte - si è palesato, con discrezione e con grazia, il caro vecchio servizio pubblico:

“l’opera lirica è uno spettacolo ricco, ma non è uno spettacolo per ricchi. non bisogna farsi ingannare dai costumi sontuosi o dall’imponenza della musica o dalle dorature degli stucchi dei palchi dei teatri. la verità è che la povera gente delle classi popolari ci sono sempre andate a vedere gli spettacoli; un po’ perché la musica classica è un’arte per tutti e un po’ perché ci si riconoscevano. nei secoli i libretti d’opera hanno raccontato infatti molto più le avventure degli emarginati che dei potenti e gli autori hanno spesso preso le parti dei deboli esponendo la prepotenza dei forti al giudizio sociale. ci sono tre categorie che devono molto all’opera lirica: la servitù, i poveri e le donne. tutte persone a basso tasso di diritti in un mondo dove solo l’uomo ricco poteva dettar legge.

il billy budd di britten quando va in scena riapre il dibattito sociale sulla pena di morte nel regno unito; il precariato degli artisti, ancora così attuale, nella bohème ci appare in tutta la sua crudeltà; i servi e i padroni, nelle opere di mozart, mostrano gli inizi della crisi di una società che fino a quel momento si era retta solo sulla disuguaglianza dei diritti sociali.

ma è alle donne e attraverso le donne che l’opera lirica trasmette il suo messaggio più rivoluzionario. c’è una storia corale di riscatto femminile nella musica lirica che ancora dialoga con il nostro presente — basta ascoltarla. 

così, nota dopo nota, apparirà chiaro che madama butterfly mette in scena il dramma di una sposa bambina, venduta dalla famiglia, e innamorata dell’uomo di cui scambia l’abuso per amore; tosca anticipa il #metoo, mostrandoci l’arroganza del potere che pretende con la minaccia di ottenere quello che si può dare solo con il consenso; ma anche le nozze di figaro comincia con una serva che confessa al fidanzato le molestie del padrone; lucia di lamermoor evoca lo strazio di una ragazza cui gli uomini pretendono di imporre chi debba amare e la crudeltà della vicenda della traviata mette alla berlina l’ipocrisia borghese che alle donne ancora oggi perdona tutto, tranne la libertà. 

nei libretti le eroine spesso muoiono, perché nelle società che vengono messe in scena il solo posto di una donna che vuole essere pienamente sé stessa è la tomba. perché quella donna possa vivere, di mondo bisogna immaginarne un altro e allora il palcoscenico diventa un laboratorio di possibilità.

c’è un filo d’oro che attraversa i libretti d’opera: è l’eterna richiesta di giustizia da parte di chi non ha voce. il teatro d’opera è il luogo in cui il silenzio dei diseredati si è trasformato in un acuto potente, che ha vibrato nei secoli ininterrotto fino a spezzare le certezze cristalline dei signori di ogni tempo.

questo fa l’arte: manda in frantumi il vecchio mondo e ci costringe a immaginarne uno dove le opportunità di essere felici appartengano, finalmente, a tutti e a tutte.”  

meritava l’incomodo di venire trascritto nella sua integralità.

lo spettacolo, poi, è di una bellezza e di una complessità sconcertante, allungando i tentacoli a ogni angolo del teatro: dal dietro le quinte alla platea (dove sta - distanziata - l’orchestra; il maestro chailly spalle al palco) a palchi e gallerie (dove troviamo redistribuito il coro); passando per foyer e ridotti, dove incontriamo gli interventi di interpreti teatrali a intervallare i quindici estratti che ci accompagnano attraverso cent’anni di storia dell’opera. 

e così bizet, cajkovskij, donizetti, massenet, puccini, rossini, satie, verdi e wagner si fondono in uno scenografico esperimento che unisce tradizione, tecnologia e arti visive. 

ne è forse l’apice l’attesa esibizione di roberto bolle, che ci incanta con una danza insieme a un gioco di luci e laser che si contraggono e si distendono intorno a lui, mentre il ballerino ora con foga e ora con grazia cerca di ricavarne spazio vitale. mi sbaglierò, ma io vi ho letto l’asfissiante lotta del corpo costretto durante lockdown e quarantena, alla ricerca di ossigeno e di libertà — non a caso il titolo che è stato dato alla serata è il dantesco “a riveder le stelle”

“un’occasione che speriamo non si ripeta mai più” dice milly carlucci (forse qui avremmo potuto fare uno sforzo per trovare qualcosa di meglio, perché anche vespa…) e lo ripete anche il maestro riccardo chailly, entrambi riferendosi all’assenza di pubblico. eppure sentirglielo dire è un colpo al cuore, perché la speranza, davvero, è che questa serata rappresenti soltanto il primo passo di un nuovo percorso per l’opera lirica, che possa aprirsi e - come ci ha raccontato la murgia - tornare ad essere un’arte per il popolo, con la complicità necessaria della rai.

la rai. quanto è fico a volte vedere il servizio pubblico fare il suo mestiere. eccola, l’unica, vera, netflix della cultura, caro franceschini, ce l’hai/ce l’abbiamo tutti quanti sotto il naso e in serate come quella di ieri è capace di esploderci in faccia con tutta la sua potenza (“è bravo, ma non si applica” dicevano ai miei quando ero alle medie), senza la necessità dei soliti accordi sottobanco che, come al solito, ci convinciamo a trafficare; è stata infatti indetta negli ultimi giorni un’indagine parlamentare per esplorare l’appalto che si voleva concedere a chili tv: “la nota sottolinea che sembra quasi che il mibact ne resti fuori, in contrasto con le disposizioni del decreto rilancio e soprattutto appaltando un servizio così importante a una società privata, chili tv, che avrebbe fatto registrare l'ottavo bilancio consecutivo in perdita, quando il servizio di promozione della cultura italiana nel mondo poteva essere affidato a raiplay.»

polemiche a parte, il teatro alla scala ieri ci ha resi ancora una volta orgogliosi della nostra città e del nostro paese, con la consueta grazia e generosità, prestando la propria qualità a beneficio del mondo che, oggi come mai, ha bisogno di cultura della bellezza. 

[…]

lo duca e io per quel cammino ascoso

intrammo a ritornar nel chiaro mondo;

e sanza cura aver d’alcun riposo,

salimmo sù, el primo e io secondo,

tanto ch’i’ vidi de le cose belle

che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.

quindi uscimmo a riveder le stelle.

parole: 676

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