“Il linguaggio dello spirito”

Quello che ho capito -  se ho capito qualcosa - della musica classica, è che troppo spesso si crede di non capirla e invece, semplicemente, non se ne conosce il contesto. La musica cosiddetta classica (di cui fa parte un periodo a sua volta “classico”) è inestricabile da ciò che la circondava nel momento in cui è stata composta: ascoltare Bach, Haydn, Berlioz, Wagner o Liszt senza collocarli storicamente, geograficamente, artisticamente, richiede uno sforzo che troppo spesso ci porta a credere di non “capire” la musica classica: in verità non sappiamo collocarla.

Bisogna vederla in fila, la storia della musica, per capire che non c’è Mozart senza Pérotin, non c’è Schubert senza Handel, non c’è Mahler senza Dvorak, non c’è Schönberg senza Strauss. Ma anche che non si può capire Wagner senza capire la Germania di fine Ottocento, come non si può comprendere Šostakovic senza conoscere la dottrina stalinista, ad esempio. La musica cosiddetta classica si nutriva profondamente del proprio tempo o, al limite, della visione religiosa del proprio tempo.

Ed è questa la grande differenza con la musica moderna o contemporanea, quella che potremmo definire la rivoluzione dei Beatles: queste canzoni infatti riferiscono a sé stesse, alla biografia dei loro autori o, ad ogni modo, a tematiche universalmente riconoscibili - generalmente, l’amore. L’amore di Monteverdi, invece, era un amore per il divino e per il suo creato, quello romantico era, per contro, un amore sanguigno da Sturm und Drang che si nutriva anche di tanto afflato nazionalista. Sentimenti oggi distanti e incomprensibili, a meno che non si studi.

La lettura del libro di Jan Swafford, professore e compositore, “Il linguaggio dello spirito” è una breve guida al contesto della musica classica, che si sforza di posizionare Mozart verso Pérotin, Schubert verso Handel, Mahler verso Dvorak, Schönberg verso Strauss, ma anche Wagner nella Germania di fine Ottocento, Šostakovic nell’Unione Sovietica delle purghe staliniste. Così, in fila, la storia della musica rimane comunque di difficile comprensione per noi non addetti ai lavori, pur senza risultare più imperscrutabile. Capirla, questa musica cosiddetta classica, richiede ben altro studio e approfondimento, rispetto alla lettura di un breve libro. Eppure già tramite la lettura di queste scarse trecento pagine, l’ascolto di tanta musica che avevo sempre reputato al di fuori della mia portata mi è sembrato improvvisamente accessibile.

“Non esiste alcuna spiegazione per Johann Sebastian Bach.” Così introduce Swafford il capitolo dedicato al compositore tedesco: un incipit che ho trovato eccezionale dal punto di vista dell’approccio narrativo e che molto racconta dello stile del libro.

Perché poi, oltre all’analisi, alla storiografia, al contesto culturale, anche l’accademico deve riconoscere che la storia della musica cosiddetta classica è anche la storia di ciò che non si può spiegare: la storia di genio, di talento, di vocazione. E quello, davvero, rimarrà sempre il mistero di un’arte senza padroni.

parole: 470

P.S. Ho realizzato una playlist su Spotify dove ho raccolto tutte le opere citate nel libro. Nel caso potesse facilitare la lettura a qualcuno:

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