Battaglia dei Formati

Per come l’ho intesa io, i cortometraggi sono da sempre un formato per addetti ai lavori. Letteralmente nessuno che operi al di fuori del settore cinematografico o che del settore cinematografico non sia un cultore esclusivo, guarda cortometraggi. I cortometraggi si gira(va)no per assenza di budget, principalmente. Trattandosi di un’arte estremamente dispendiosa, l’unico modo per cineasti in erba di emergere e per mettersi alla prova è quello di ridurre il minutaggio. Un po’ come la Formula 1: non puoi affittare Monza e farti qualche giro di prova sulla Ferrari; per questo per molti piloti la prima volta su un circuito coincide con il giorno della gara.

Quello del budget tuttavia non è un problema che ha Wes Anderson, chiaramente, che proprio ieri con un un cortometraggio ci ha vinto il suo primo Oscar (e manco è andato a ritirarlo). Dunque, come si può ben vedere, i formati e il loro utilizzo stanno rapidamente migrando da un lato all’altro dello spettro audiovisivo. 

E detesto l’idea di ridurre questa riflessione a poche righe di diario, perché in verità la Battaglia dei Formati rappresenta una reale cartina di tornasole dei tempi in cui viviamo. 

Da un lato abbiamo i social, con post che fino a poco tempo fa avevano una durata limite di un minuto e che invece ora sono stati sbloccati a minutaggi ben più ampi. Eppure i loro contenuti più visitati sono quelli brevi e, talvolta, live come le stories, ma anche in differita come i bits su YouTube. La retorica a questo punto impone il ripetere che il pubblico più giovane si sta settando su durate sempre più brevi. Epperò questo assunto viene contraddetto dal trend ormai ampiamente consolidato che li vede preferire le serie a un film. Il lungometraggio è ormai impermeabile ai più giovani, che lo vedono - mi sembra di percepire - allo stesso modo in cui noi (“noi” generazionale generico, per questo dico che mi scoccia la sintesi) abbiamo guardato e continuiamo a guardare ai cortometraggi: un formato “di mezzo”, troppo lungo per una fruizione istantanea come sui social, troppo breve per un intrattenimento serale. Il mediometraggio, poi, per me rimane un mistero assoluto, ma questa è un’altra faccenda. Poi ci sono serie e miniserie, cioè composte da più stagioni o da una singola stagione. Ma per quanto riguarda la loro durata, gli episodi di certe serie si aggirano intorno all’ora e passa, mentre altre intorno alla mezz'ora. Esistono serie dalle durate monstre, composte da decine di stagioni, a loro volta suddivise in decine di episodi, ciascuna dalla durata di oltre un’ora a puntata. Altro che timore della complessità. E in questa sede ne ho citati soltanto una manciata, ma il tema è ben più ampio in ambito digitale, variando le regole di piattaforma in piattaforma. Ad averne il tempo. 

Il formato, lo vediamo, è diventato ibrido e flessibile. Vale tutto. Ed è affascinante, oltre che libreatorio, arrivando da una tradizione decennale di inquadramenti rigidissimi. Ma si sa, i limiti son fatti per venire infranti. Vorrei tornare in accademia per giocarci, con questi formati, dev’essere tremendamente affasicnante. 

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