ministro boomer

quando quel badola di franceschini ha parlato di una “netflix della cultura” (vi aveva già fatto cenno in aprile, siccome nessuno se l’è filato l’ha ripescata a fine ottobre - fa notare giustamente il foglio: “c’è già, si chiama rai”), ci ho messo un po’ a capire di cosa stesse parlando, ma soprattutto mi sono dovuto sforzare non poco per comprendere come questa impalcatura potesse sostenere gli operatori dello spettacolo in un periodo di crisi senza precedenti.

mi ricorda molto quell’atteggiamento da boomer che hanno certi nostri clienti, che indicano un’asticella di qualità che è sempre settata sugli stessi brand - “vogliamo essere la apple dei brillantanti”, “l’amazon delle tappezzerie” e via dicendo - e che è il sintomo di un’ingenuità di chi non sa e che si aggrappa a parametri confinati nella propria limitata conoscenza (senza voler spendere un soldo, ça va sans dire, ma “il livello deve essere apple”, è chiaro).

insomma, 10 milioni del recovery fund per sta roba che forse non ha capito bene manco lui, mentre il settore è in ginocchio (e, ad occhio e croce, ancora ci resterà).

quello che però volevo dire è che (meno figuratamente di come indicava il foglio) una netflix della cultura c’è già (apprendo oggi) ed esiste dal 2017. si chiama eduflix ed è portentosa per davvero. invito tutti a darci un occhio. “una nuova piattaforma video che porta il sapere su tv, computer, smartphone e tablet, raccontata dalle figure più autorevoli del mondo della cultura,” scriveva artribune tre anni fa. bellissimo.

ma non era questo che intendevi, vero dariè? allora facciamo una bella cosa — proviamo a riformulare senza sciocchi e infondati riferimenti? perché davvero, ti sembrerà assurdo, ma non aiuta nessuno a capire — non serve semplificare, non siamo scemi.

spiegaci il piano. per bene. perché c’è un piano. vero?

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