la guerra e noi
ce le ricorderemo, queste attese per ascoltare i discorsi di conte. scene di altri tempi, rubate ai film di guerra, dove le famiglie si radunavano di fronte alle radio, per scoprire dalle fonti ufficiali ciò che la sorte aveva in serbo per loro.
ho ragionato spesso (come tanti) sui parallelismi che sono stati fatti in questo 2020 con uno scenario bellico. su questo aspetto ha ironizzato perfino il ministero della salute tedesco, con un esilarante spot — diventato virale — che metteva a confronto i sacrifici della generazione dei nostri nonni e la nostra.
la terminologia (a partire da quell’orrido “coprifuoco”), presa in prestito al vocabolario militare, talvolta si è dimostrata centrata (in aprile a trasportare i defunti da bergamo non erano ambulanze, ma convogli dell’esercito) e in linea con un lessico bellico. ciò che invece non coincide è l’attitudine dei cittadini che sul serio questa pandemia proprio non riescono a prenderla. ben diverso sarebbe con una guerra. (altrimenti non staremmo ancora qui a parlarne in novembre, tra l’altro)
esemplificativi sono i commenti che gli utenti fanno sulle dirette stesse di facebook sul profilo del premier (certo dover seguire queste comunicazioni sui canali social di un signore che fino a 2 anni fa nessuno sapeva nemmeno chi fosse, non aiuta), canzonandolo a ogni momento, come si farebbe commentando la sconfitta di una squadra di calcio avversa: “sbrigati che alle 21 c’è harry potter”, “mia suocera abita al piano di sotto...come posso bloccarla nella sua residenza durante le feste di natale?”, “vendo fiat panda” e via discorrendo.
i riti, forse sì, quelli sono simili. la paura no, quella è tutt’altra cosa. la paura vera, che ti toglie il sonno, l’orrore — come lo dipingeva brando in apocalypse now — quello lo conosce soltanto chi durante questo 2020 ha visitato una terapia intensiva — siano essi medici o pazienti.
eccola l’unica guerra che combattiamo oggi: quella tra fiction e realtà, tra ciò che abbiamo imparato dai film e dalle serie (dunque il modo in cui ci piace percepire il nostro presunto stoicismo) e la realtà dei fatti, che ignoriamo a piè sospinto, accampando scuse per giustificare la nostra gita fuori regione nel weekend, escogitando il modo più astuto per raggirare il decreto e fare il veglione con i nostri amici a capodanno. in comune con la guerra abbiamo soltanto i piccoli riti, i rimasugli di qualche narrazione sbiadita che ritroviamo nella compilazione di un’autocertificazione per andare a fare la spesa.
il lessico, di questi tempi, è ingannevole. complice certo giornalismo che vuole impreziosire titoli scialbi, pure quando (ed è raro in questi mesi) c’è poco da dire. di più non ci occorre, per giustificare i continui scorni di uno anno da buttare, che compiacerci di avere vissuto l’eccezionale, quando l’eccezionale è spettacolo, sceneggiato, instagrammabile, pallida imitazione di una realtà che però-cristo-cheppalle-quando-ti-si-appanna-la-mascherina.
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