l’inizio e la fine, un tentativo

Quando inizia una quarantena?

Quando cominci a preoccuparti di quello che succede fuori e ti chiudi dentro? Quando vedi le prime mascherine in faccia alla gente? Quando il primo sconosciuto cambia lato del marciapiede vedendoti avanzare nella sua direzione? Quando te lo dicono? Col primo decreto? O col secondo o il terzo? Con la paura?

Quando finisce una quarantena?

Quando ti rassegni? Quando ti abitui? Con un decreto? Con un messaggio a reti unificate? Con la riapertura dei negozi? Quando dai il primo abbraccio a una persona che non vedevi da tanto tempo? Quando smetti di avere paura?

È difficile dire quando la mia quarantena sia iniziata; ancora più difficile è dire quando sia finita. Tutt’ora non sono neanche certo che sia terminata.

Sono in casa da quasi tre mesi. E quando dico che sono in casa intendo dire che esco solo per andare a fare la spesa. Come tutti. O quasi.

Potrei dire che la mia quarantena si è conclusa con la prima passeggiata disinteressata; la prima volta che sono uscito di casa, non per comprare da mangiare, ma per il semplice gusto di uscire di casa. Settimana scorsa.

Potrei invece dire che ha avuto due inizi: il primo è stato il 24 febbraio, quando abbiamo chiuso l’ufficio; il secondo mercoledì 25 marzo, quando ho cominciato a esaurire casa.

In quel giorno, un giorno qualsiasi di un isolamento rodato, collaudato durante quasi un mese di reclusione spontanea, ho ripensato a George Perec e a quel libro letto anni fa “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino” .

Ottobre 1974. Per tre giorni consecutivi Georges Perec siede ai tavolini dei caffè o sulle panchine in place Saint-Sulpice, 6° arrondissement, Parigi, e osserva la piazza in differenti momenti della giornata. Prende accuratamente nota di tutto quello che vede: persone, macchine, autobus, animali, nuvole, cose all’apparenza insignificanti ma che fanno la vita di una grande città. Le innumerevoli variazioni impercettibili del tempo, della luce, delle foglie, delle ombre e dei colori sono colte da uno sguardo unico e vibrante.

Il 25 marzo dunque, ho deciso di iniziare a fotografare con regolarità il mio appartamento; di studiarne i dettagli, gli angoli fino ad allora inesplorati, di appassionarmi ai suoi particolari e a tutto ciò che fino ad allora, giorno dopo giorno, i miei occhi avevano annegato nell’abitudine.

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Un tentativo, soltanto, con lo sforzo di non cadere nel “bello”, di non pretendere di “interessare”, di “intrattenere”, di “coinvolgere”, ma esclusivamente di osservare, con più distacco possibile, ciò che è – e già da tempo era – sotto i miei occhi, senza che mi fossi concesso prima la possibilità di notarlo; ciò che – come direbbe Perec – “non ha importanza: ciò che succede quando non succede niente”.

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 […] Ci sono molte cose in place Saint-Sulpice, ad esempio : un municipio, degli uffici di tesoreria, un commissariato di polizia, tre caffè di cui uno è anche un tabacchi, un cinema, una chiesa ai cui lavori hanno partecipato Le Vau, Gittard, Oppenord, Servandoni e Chalgrin e che è consacrata ad un cappellano di Clotario II che fu vescovo di Bourges dal 624 al 644 e che si festeggia il 17 gennaio, un editore, un’impresa di pompe funebri, un’agenzia di viaggi, una fermata degli autobus, un sarto, un albergo, una fontana decorata dalle statue di quattro grandi oratori cristiani ( Bossuet, Fénelon, Fléchier e Massillon), un’edicola, un negozio di oggetti votivi, un parcheggio, un istituto di bellezza, e molte altre cose ancora.
Di queste cose, molte, se non la maggior parte, sono state descritte, classificate, fotografate, raccontate o recensite. Nelle pagine che seguono, il mio intento è stato piuttosto quello di descrivere il resto: ciò di cui normalmente non si prende nota, ciò che non si osserva, ciò che non ha importanza: ciò che succede quando non succede niente, se non il tempo, le persone, le macchine e le nuvole […] “

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È un lusso, chiaramente. Me lo sono preso.

Ho scoperto che a mezzogiorno e dieci la luce della finestra illumina uno solo dei quattro fornelli; ho scoperto di avere un allaccio alla televisione; che se guardo la doccia dal basso sembra il corridoio di una navicella spaziale; che le crepe nel sughero delle mie ciabatte si confondono in maniera insolita con le decorazioni del tappeto in cameretta; che i nostri immediati dirimpettai non aprono mai le persiane di una stanza che non ho ancora capito qual è.

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Tante cose così di nessuna particolare rilevanza, ma che mi hanno aiutato a vivere questi mesi con un ritmo diverso, con un distacco diverso, con una cura della quale non credevo essere capace.

Eppure.

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[qui il progetto Behance, le foto originali le trovate invece sul mio profilo Instagram

[[qualche informazione in più sugli inventari di Perec]]

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