baruch, il peccato veniale

Las piedras jamás paloma/

¿Que van a saber de amores?

 

Delle orme che Gesù lasciò in Galilea, Cafarnao è un’unghia sottile. Ma siccome il piede del Cristo è perfetto- come perfetto Egli è nella sua interezza- va narrata la vicenda di Baruch e del perdono concesso al gigante di Cafarnao.

Di Cafarnao si fa cenno nel Vangelo di Marco come ‘La giornata di Cafarnao’.

Gesù quel sabato avrebbe insegnato agli adepti, medicato un’anziana a pranzo e, dopo il tramonto, avrebbe curato i malati ed esorcizzato gli indemoniati.

Negli aneddoti, nelle parabole, negli incisi e nelle note delle Scritture, non si fa cenno a Baruch. Aveva più di trent’anni, eppure possedeva il pensiero e il linguaggio di un bambino. Nei suoi occhi stretti e gonfi non vi era traccia di intelligenza, né ombra di prontezza. Sin dall’infanzia veniva chiamato dagli altri bimbi ‘il gigante’, poiché dotato di una stazza come non ve n’erano in tutta la Galilea. Possedeva un corpo massiccio e compatto, con spalle larghe e mani come badili. Si muoveva sempre poco e con lentezza Baruch, facendolo sembrare una colonna del tempio, pallido com’era, su cui si fosse appollaiata un’aquila con le ali spiegate.

Di lui le persone si curavano poco.


Quando aveva dodici anni, Baruch conduceva una vita solitaria. Le madri degli altri bambini non avevano piacere che i propri figli lo frequentassero. Il gigante non era in grado di controllare la propria forza, giocava in maniera frenetica, con movimenti impacciati e convulsi. I contatti con i suoi coetanei esprimevano il desiderio affettuoso di una contiguità sempre fisica e che si concludeva irrimediabilmente con le lacrime dei bimbi, quando per un dito in un occhio, quando per un livido sulle braccia o un indumento strappato.

Un giorno giocavano tutti insieme a tirare sassi sulla superficie del lago, contando ad alta voce i rimbalzi delle pietre sull’acqua. Quando venne il turno di Baruch, egli scagliò il suo sasso con tale forza che, al primo salto, il frammento di roccia si impennò, recidendo di netto il collo a un gabbiano che stava spiccando il volo in quel momento, tra il disgusto generale e le esclamazioni di riprovazione.

I giovani di Cafarnao da allora, evitando con cura di farsene beffa, si limitarono ad ignorarlo, abbandonando i giochi ogni volta che egli si avvicinava e, di fatto, lasciandolo alla sua solitudine.

Il padre di Baruch era morto quando questi non aveva che pochi mesi. La madre, una donnina tozza e dalla pelle scura, aveva in sé il demonio.

Puliva il tempio di giorno e di notte, con una fascina di rami che la costringeva a stare ricurva per molte ore. Era mal sopportata da tutti, poiché bestemmiava tra le mura della sinagoga e spesso, durante le preghiere, emetteva rumorosi piriti, dei quali si compiaceva con lunghe risate. Ma era l’unica donna in città disposta a fare quel lavoro faticoso e scarsamente retribuito.

Lei, a sua volta, odiava chiunque. Odiava i sacerdoti, odiava Dio, odiava Cafarnao e tutti i suoi abitanti, odiava il sole e la luna, il lavoro e il riposo, ma soprattutto odiava Baruch. “Fesso,” lo chiamava e “Idiota” e “Figlio di cane,” mettendo in dubbio ogni giorno la maternità di quel bambino troppo grosso per essere suo. Baruch sorrideva e allungava le enormi braccia verso di lei, cercando di abbracciarla, ma lei si scansava e sputava in terra. “Pettinami i capelli, figlio di cane,” gli diceva.

Poi la donna scomparve.

Una mattina di primavera non si presentò alla sinagoga. Inizialmente in pochi si diedero pena per lei. Ma non arrivò neanche al tramonto, né alla preghiera notturna. Il custode del tempio venne mandato a cercarla, ma nella capanna in cui viveva col figlio, sulle rive del Mare di Galilea, non v’era traccia di lei né di Baruch. Il custode trovò il ragazzo non distante, nascosto nelle mangrovie, le gambe a penzoloni tra un ramo e l’altro, mentre tra le lacrime mormorava parole incomprensibili, che soffocava con sibili e gemiti disumani. Si torturava la mani Baruch, sfregandosele con forza e stringendo i pungi con tanta veemenza da rendere le nocche trasparenti. Intimorito da quell’atteggiamento, il custode si sforzò di parlare a Baruch con gentilezza, chiedendogli se sapesse dove si trovava sua madre, ma questi pareva non udirlo, strozzando le urla di un dolore le cui cause rimanevano invisibili.

Il custode tornò alla sinagoga, riferendo ciò che aveva visto. Per cinque giorni e cinque notti gli uomini di Cafarnao cercarono la donna. Proprio quando le ricerche stavano per essere sospese- si cominciava infatti a credere che la madre di Baruch semplicemente avesse deciso di lasciarsi quella vita infelice alle spalle- il suo corpo inerme e gonfio rimase impigliato tra le reti di un pescatore. La visione oscena della figura gonfia d’acqua e del volto strizzato in una smorfia sconcia, come di scherno, gli occhi strabuzzati di stupore, il collo spezzato, scossero profondamente gli abitanti di Cafarnao.

Venne lungamente interrogato dai sacerdoti Baruch, ma non rispose a una sola delle loro domande, chiuso in un mutismo invalicabile mentre si dondolava avanti e indietro come raccolto in preghiera. Sebbene la tentazione di lapidarlo immediatamente allettasse i più, mancando qualsiasi tipo di prova a carico di Baruch, la curia decise di lasciarlo libero. Nessuno, in fondo, avrebbe sentito la mancanza di quella donnaccia irriverente che era sua madre. Per molto tempo tuttavia, al passaggio del gigante, gli abitanti di Cafarnao sputarono in terra, alcuni gli tiravano addosso delle pietre, altri lo ingiuriavano, ma Baruch pareva non udirli.

A prendersi cura di Baruch, da unici, furono il pescatore Tito- nelle cui reti era rimasta impigliata la donna- e sua moglie Maira, impietosita dalla sorte del ragazzo. Lo accolsero nella loro casa, lo rivestirono e lo nutrirono, ma lo stato di Baruch ormai pareva irrimediabile.

Tito mise il gigante al giacchio, che all’alba e nel meriggio aveva il compito di districare. Baruch, senza dire una parola, trascorreva così le giornate, piegato su sé stesso, con le gigantesche dita nelle maglie delle reti.


 Quando giunse voce che il Profeta avrebbe visitato Cafarnao, Tito e Maira cercarono di convincere Baruch ad incontrarlo. Di Gesù si sapeva ancora poco, soltanto timidi aneddoti erano pervenuti sul Figlio di Dio. Magiche guarigioni, violenti dialoghi con spiriti maligni, risurrezioni, eresie di ogni genere.

Pareva che, un manipolo di adepti al seguito, andasse peregrinando per le terre d’Israele seminando stupore con le sue esibizioni soprannaturali.

Si diceva che molti di coloro che lo seguivano fossero stati a loro volta miracolati dal Nazareno. I sacerdoti scuotevano il capo e minacciavano castighi per chi avesse preso parte ai suoi raduni.

Un uomo che nessuno aveva mai visto prima giunse a Cafarnao e disse che l’indomani sarebbe arrivato il Redentore, Gesù di Nazareth, e che avrebbe predicato due giorni e due notti. Quando qualcuno offrì all’uomo un pezzo di pane e ricovero per la notte, quello scosse il capo e riprese la sua corsa verso Tiberiade. Maira, che aveva presenziato alla scena, tornò a casa e parlò a Tito. “Le anime dannate ascoltano le Sue parole e vengono redente,” disse “Deve incontrare Baruch.”

Tito acconsentì, ma quando parlarono al gigante, quello venne scosso dai brividi e gemette torcendosi le dita delle mani. “Baruch!” gridavano i due, “Parlerai con Lui e metterà fine al tuo tormento.” Ma Baruch corse fuori dalla capanna e non ritornò che a mattino inoltrato, sporco e fetente. Maira lo condusse al lago e lo lavò. Pulire il gigante era un lavoro complesso e faticoso che portava via molto tempo. Lo rivestì poi con una camicia ambrata di bisso, gli legò i sandali ai piedi e lo pettinò. Baruch la lasciò fare, guardandosi intorno convulsamente come suo solito quando si trovava in presenza di una donna.


Camminava Gesù a una velocità smodata. I discepoli arrancavano faticosamente alle sue spalle, mentre Egli li precedeva, il volto disteso perennemente orientato al cielo e gli occhi socchiusi, un passo dopo l’altro tra la sabbia del deserto. Si muoveva a due velocità. Quella esteriore, trainata da invisibili cavi verso un avvenire incerto, e quella intima, pacifica, di coloro che non si curano del destino. Era il passo costante e angosciato di chi porta il mondo sulle spalle e non si può permettere il lusso di fermarsi a riposare.

Era poco più che un ragazzo il Cristo. E nessuno pareva farci caso.

Giunsero a Cafarnao che il sole era quasi del tutto tramontato. Per prime andarono loro incontro le donne, con il pane avvolto nel lino e le brocche e le borracce con l’acqua e il vino. Il Figlio di Dio e gli adepti mangiarono e bevvero, ma quando ebbero mangiato e bevuto e ormai speravano in un pagliericcio su cui distendere le gambe, Gesù disse “Portate gli ammalati,” e nessuno dei discepoli obiettò. Maira, che aveva portato il vino al Cristo, corse a casa. Trovò il gigante in un angolo della capanna a dondolarsi avanti e indietro.

“Baruch.”

Il gigante gemette.

“Baruch, vieni con me. Andiamo a camminare.”

Il gigante si alzò, tenendo bassa la testa per non batterla nel tetto. Maira gli allungò una mano che Baruch prese dolcemente. “Andiamo a camminare.” E Baruch sorrise ebete.

 

Gli adepti avevano formato un cerchio intorno al Redentore. Sedevano a gambe incrociate, avvolti nelle coperte, e reggevano una fiaccola ciascuno. Il Cristo stava al centro, in piedi. A uno a uno venivano portati a Lui gli ammalati e gli indemoniati. Gesù li carezzava e sussurrava loro parole che essi soltanto potevano udire. Alitava sui loro volti, reggeva i loro capi, stringeva le loro mani. Sorrideva o si arrabbiava e il suo sguardo mutava a ogni istante, attraversato da pensieri iridescenti. E gli uomini e le donne lasciavano il cerchio in uno stato di spossatezza, il peso abbandonato sulle spalle dei loro familiari.

Quando Maira e Baruch si avvicinarono al cerchio, Cristo stava abbracciando una donna in preda a spasmi violentissimi. Gli occhi di Gesù, palpitanti dei fuochi delle fiaccole, incontrarono quelli del gigante, che lanciò un grido di orrore, divincolandosi dalle mani di Maira e destando l’attenzione degli astanti. “Lascialo perdere! È il figlio del demonio.” “Sparisci, assassino!” “Maira, porta via quell’idiota!”.

Baruch continuava a gridare, contorcendo il volto in espressioni deformi, pur non riuscendo a distaccare lo sguardo dagli occhi del Cristo. Cadde, incespicando nelle sue stesse gambe, e a gattoni si lanciò nel buio del deserto.

Il Figlio di Dio sussurrò qualcosa all’orecchio della donna che stava tra le sue braccia e gli spasmi cessarono. Due uomini si avvicinarono e la portarono via. Gesù guardò Maira, imbarazzata dalle grida della gente eppure preoccupata per quella insolita reazione di Baruch. Lei ricambiò lo sguardo del Redentore, che le fece cenno con una mano di avvicinarsi. E Maira entrò nel cerchio. Gesù sorrise.

“Chi sei?”

“Sono Maira, la moglie di Tito il pescatore.”

“Quello era tuo figlio?”

“È come se lo fosse.”

Gesù sorrise, ignorando i mormorii.

“Soffre,” disse Egli.

“Sì,” disse Maira.

“Cosa turba il suo cuore?”

“Nessuno lo sa, Yeshua.”

“Cosa gli è accaduto?”

“È orfano. Lo accusarono di avere ucciso la madre. Ma nessuno lo sa, Yeshua.”

“Assassino!” gridò una voce di donna. Gesù non ascoltò, ma allungò una mano verso il volto di Maira e le carezzò la guancia. Maira sentì il proprio corpo farsi caldo.

“Lo porterai da me domani, Maira?”

Maira pianse.

“Sì, mio Signore.”

Gesù le baciò la fronte.

“Portalo da me.”


La mattina seguente Maira portò Baruch in riva al Mare di Galilea e lo lavò. Dalla sera prima lui ancora non aveva detto una parola e guardava tutto con occhi di terrore. Ogni volta che le mani di Maira toccavano la sua pelle, il suo corpo mastodontico si contraeva dallo spavento. Maira allora cantò un inno a Dio con la sua bella voce, sorridendo al gigante e incoraggiandolo con gli occhi. Aveva gli occhi buoni e calmi Maira e sapeva che di quegli occhi Baruch si era sempre potuto fidare. Rivestì il gigante con una maglia azzurra, poi allungò le braccia e gli prese la testa tra le mani, tirandolo a sé, a una distanza ravvicinata come non le era stata concessa mai da Baruch in tutti quegli anni che le era stato figlio. “Baruch,” gli disse “Noi adesso andremo da Yeshua. È un uomo buono e vuole aiutarti. Smetterai di soffrire. E lo farai perché così voglio io. Lo farai per me, Baruch. Lo farai?” Baruch la guardò e non disse nulla, ma quando lei lo prese per mano, lui non oppose resistenza e la seguì.

Gesù aveva dormito nella casa di Gezabel, la vedova. Durante la notte, i prodigi di Cristo erano volati di bocca in bocca e al mattino c’era una gran folla intorno alla casa di Gezabel. Non riuscendo a raggiungere il Profeta, degli uomini avevano forato il tetto per calarvi all’interno un paralitico sdraiato su di una barella. E Cristo gli aveva detto di alzarsi, di prendere la sua barella e di tornare a casa. E il paralitico si era alzato e aveva seguito il suo comando. I volti della folla erano velati di entusiasmo e timore. Alcuni gridavano la loro gioia, altri si allontanavano, chi con le mani tra i capelli, chi scuotendo la testa e sputando in terra.

Quando arrivarono Maira e Baruch, Gesù vide la testa del gigante ben al di sopra delle altre teste e si fece largo tra la folla che lo toccava e gli baciava le vesti e i piedi e le mani. Alzò lo sguardo verso Baruch. “Guardami,” gli disse e Baruch lo guardò. La folla ammutolì. Cristo gli porse la mano. “Andiamo a camminare,” gli disse con gentilezza. Baruch guardò Maira, le cui lacrime bagnavano la sabbia, poi diede la mano al Redentore e insieme si allontanarono verso la spiaggia.


 IL PECCATO VENIALE

 

Le rive del Mare di Galilea. GESÙ e BARUCH sono seduti su un lungo tronco levigato dalla salsedine. Davanti a loro l’acqua è calma e sopra di loro il cielo è azzurro.

 

GESÙ- Baruch. Parla.

BARUCH- Yeshua.

GESÙ- Hai una bella voce, Baruch.

BARUCH- Grazie.

GESÙ- Hai ucciso tua madre, Baruch?

Baruch piange

GESÙ- Sono venuto, Baruch, per togliere i peccati dal mondo. Confessati a me e sarai perdonato. BARUCH- Ho ucciso.

GESÙ- Chi hai ucciso, Baruch?

BARUCH- Ho ucciso mia madre. Ho ucciso mia madre.

GESÙ- E come l’hai uccisa, tua madre?

Baruch piange

GESÙ- Come l’hai uccisa, Baruch?

BARUCH- Pettinandole i capelli.

GESÙ- Pettinandola?

BARUCH- Pettinandole i capelli.

GESÙ- Quando l’hai uccisa, sapevi che stava morendo?

BARUCH- No, Yeshua.

GESÙ- Guardami negli occhi, Baruch.

BARUCH- (guardandolo negli occhi) No, Yeshua.

Baruch piange

BARUCH- Ho commesso un peccato mortale, Yeshua. Mortale. Il più atroce dei peccati, Yeshua. Un peccato mortale.

Silenzio.

GESÙ- In Licia, Baruch, vi è un largo torrente, attraversato da correnti poderose. È impossibile attraversarlo con una chiatta da lato a lato. L’unico modo per guadare è sulle spalle di un gigante. Cristoforo è il suo nome. Baruch, non hai mai visto un uomo tanto grande e possente come Cristoforo. E buono, con occhi scintillanti e con le mani calde. Un giorno sulla riva giunge un bambino che gli chiede di portarlo all’altra sponda sulle sue spalle. Cristoforo si carica il bimbo a cavalcioni e comincia ad attraversare, ma ad ogni passo gli pare che il peso della creatura si faccia più grande. Il gigante sembra sopraffatto dallo sforzo enorme, ma alla fine, stremato, guadagna l’altra riva.

A volte, Baruch, un uomo deve portare sulle proprie spalle tutto il peso del mondo per attraversare un torrente. Io ti assolvo Baruch, figlio di Tito e Maira, da tutti i tuoi peccati.

BARUCH- Yeshua, hai il potere di assolvermi da un peccato tanto grave?

GESÙ- (ride) Solo un cieco non vedrebbe che il tuo peccato è veniale, poiché peccato di bimbo. Nessuno andrà all’inferno per aver pettinato la propria madre. Dio è con te. Sei già pieno del suo perdono. (pausa) Vieni. Camminiamo.

Escono.

Buio.


Quando tornarono a Cafarnao erano trascorse diverse ore.

Si tenevano ancora per mano Baruch e il Cristo e Maira corse loro incontro gridando il nome del gigante. E, per la prima volta, Baruch la strinse a sé. “Madre,” le disse e Maira gridò la sua gioia nell’udire la voce del figlio, nel guardare i suoi occhi vividi e colorati.

 

Gesù ripartì per Tiberiade e Cafarnao si svuotò di quell’inaspettato entusiasmo.

La sera Baruch, Tito e Maira mangiarono e parlarono fino a ora tarda. Risero e cantarono. Quella notte Baruch cadde in un sonno senza precedenti e la mattina i genitori non ebbero il cuore di svegliarlo. Soltanto dopo pranzo, Maira andò a controllare come si sentisse, non avendo egli mai dormito oltre il levar del sole. Quando la donna aprì la porta della capanna, trovò il giaciglio di Baruch vuoto. Uscì e lo chiamò a gran voce. Andò alle mangrovie, in spiaggia, al tempio, ma non vi era traccia di suo figlio.  Tornò in riva al mare ad attendere Tito. Ne vide la barca in lontananza avanzare lenta. La vela ambrata ben spiegata al vento. “Tito!” gridò. Ma il vento le tagliava le parole di bocca. Vide il marito a poppa, una mano sul timone, l’altra salda sul giacchio a traino. Maira strizzò gli occhi. “Tito!” gridò ancora. Solo allora riconobbe un’espressione mesta sul volto dell’uomo. Piangeva lacrime silenziose il pescatore. Scese dalla barca, le reti salde tra le mani e, con enorme sforzo, nuotò verso Maira, tirandosi appresso un pesce come nessuno aveva visto mai. Come nessuno aveva pescato nel Mare di Galilea. Grande solo come si narra nelle leggende. L’uomo trascinò il grosso pesce a riva, mentre Maira incredula si lanciava sulle reti e con forza ne districava i nodi. Urlò di dolore liberando dalle alghe il tenero sorriso di Baruch. Placido e gentile come Maira non lo aveva visto mai. Infine adorato da Dio. Infine perdonato.

“Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite. […] E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe!”                                                                                                        

[Matteo 11,23]

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