aspettando i barbari

se le notti irrequiete del mio piccolo mi concedessero tempo ed energie, ma soprattutto se avessi la possibilità di guadagnarmi da mangiare con questa sola newsletter, il pezzo di oggi supererebbe i mille caratteri e meriterebbe una frammentazione seriale per esaurirne tutti gli interessantissimi aspetti. ma tant’è: è tardi, il bimbo e la sua mamma si sono addormentati e io domattina dovrò lavorare, per questo mi limiterò con grande dispiacere a un commento circostanziale del discorso che invece meriterebbe un ben più ampio spazio di analisi. si tratta di una premessa indispensabile. mannaggia mannaggia. ciò detto.

ho concluso questa sera la visione del film “waiting for the barbarians”, tratto dall’omonimo romanzo del nobel coetzee (che del film è anche sceneggiatore) e devo dire che raramente in tempi recenti una pellicola mi ha colmato col medesimo senso di sazietà e di contemporaneità dei fatti del mondo. questo film infatti non si può certo dire che rientri nella categoria del cosiddetto “cinema di guerra” (nella stessa misura in cui “il deserto dei tartari” di buzzati non tratta di vicende prettamente belliche), eppure la guerra ne è protagonista indiscusso, in tutte le sue contraddizioni, con tutti i suoi orrori e i suoi guasti. già soltanto questo aspetto dovrebbe bastare a incuriosire il lettore. come nel romanzo di buzzati, la guerra è una cornice invisibile, indispensabile all’intreccio eppure distante, imminente eppure impalpabile. senza la sottigliezza del “deserto dei tartari”, più filosofico se vogliamo, il soggetto di coetzee il conflitto lo tocca, ma con una generosità nuova, ovvero facendolo sbocciare dalla vicenda privata, di natura amorosa: niente di dissimile, nella sostanza, da tanto cinema anche mainstream hollywoodiano, da “balla coi lupi” a “pearl harbor” (a voler essere cafoni), eppure con un approccio autoriale che dal cinema americano prende le distanze con nettezza, lasciando invece spazio a lunghi silenzi, alla grazia degli sguardi accennati, delle palpitazioni mute, come è invece proprio di certo cinema europeo, ma soprattutto di quello asiatico. ed è qui che risiede l’inganno, trattandosi - udite udite! - di una produzione italiana, con regia colombiana (non lasciatevi ingannare dal suono partenopeo: ciro guerra e la sua filmografia sono sudamericanissimi) e vedendo quali interpreti il gigante del teatro britannico mark rylance (anche oscar nel 2015 per il “ponte di spie” di spielberg), l’icona generazionale robert pattinson e infine nientepopodimeno che un sorprendente johnny depp, in una prova di recitazione ben al di fuori della sua comfort zone anfetaminica e svalvolata. dunque si tratta di un prodotto eccezionalmente internazionale, tessendo un filo in grado di cucire insieme l’africa (coetzee è di città del capo e le riprese del film hanno avuto luogo in marocco), il vecchio continente, gli stati uniti, il sud america, ma con uno stile che ammicca a certo cinema asiatico á la wong kar-wai. e scusate se è poco.

infine, la vera fonte del mio dispiacere di questa sera, ovvero il merito vero e proprio dei contenuti affrontati dal film (e dal romanzo, ça va sans dire): i barbari di baricchiana memoria. c’è infatti un trait d’union che lega questo bellissimo film tanto al capolavoro di buzzati, quanto al saggio del 2006 dell’autore torinese, in cui delineava il cambiamento radicale in atto nella società occidentale, che baricco descriveva come "una terra saccheggiata da predatori senza cultura né storia". una discrasia affrontata - questa volta narrativamente - con maestosa eleganza anche da lawrence osborne nel suo romanzo “nella polvere”, edito da adelphi lo scorso anno: opera che peraltro richiama il film di ciro guerra anche per l’ambientazione medinica. eppure coetzee compie un passo ulteriore rispetto a baricco (e a osborne) e arriva a domandarsi: “ma i barbari, infondo, siamo sicuri di non essere noi?”

e io qui mi fermo, come preannunciato nel personalissimo e mesto preambolo, non possedendo né il tempo né le risorse per addentrarmi in un ragionamento che, davvero, meriterebbe un capitolo a sé stante. rimando dunque il lettore alla visione di “aspettando i barbari” e alle letture di accompagnamento che riterrà più opportune, per una più compiuta e ampia comprensione del contesto.

mannaggia mannaggia. che bel film. lo trovate su prime video, compreso nell’abbonamento mensile, in lingua originale e debitamente sottotitolato in inglese e in italiano.

parole: 696

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