EXP 11
Capita spesso di trovarsi in workshop aziendali e di venire invitati a giocare. Giochi seri, da adulti, ma pur sempre giochi, allegorie il più delle volte di ciò che il gioco vorrebbe riflettere in ambito professionale.
Nella mia pur breve esperienza mi è puntualmente capitato di incontrare l’unanime scetticismo dei partecipanti, introdotto dalla ritrosia dell’organizzatore stesso, costretto a condire l’incarico con mille perché e per come, allo scopo disperato di giustificare la necessità di chiedere ad adulti professionisti di calarsi nella realtà ludica.
Prendersi sul serio, il nostro sport nazionale. Troppo fichi, troppo qualificati, troppo sgamati, troppo lavoro da fare, troppe responsabilità, troppo tutto per abbassarsi a trascorrere un paio di ore di gioco e affidarsi a un esperto che ci garantisce ampi benefici da un’attività soltanto in apparenza inutile.
Ho visto qui invece senior quaranta e cinquantenni, gettarsi senza esitazione in terra, rimboccarsi le maniche della camicia e rovesciare una scatola di Lego, sporcarsi di colla e pastelli, divertendosi concentratissimi per un pomeriggio intero, per poi presentare a turno i loro lavori con la stessa serietà con cui si presenta un Keynote al cliente.
Sapersi divertire è, a tutti gli effetti, a sua volta segno di professionalità: saper distinguere i momenti di lavoro da quelli di gioco, equilibrare serietà e ironia dovrebbe essere un requisito riconosciuto e accettato universalmente per il migliore funzionamento delle dinamiche d’ufficio, per imparare a prendersi meno sul serio e, dunque, svolgere il proprio lavoro non come se ne dipendessero le sorti dell’umanità, né limitandosi a timbrare il cartellino.
parole: 254