succession, tra bardo e dogma

finito or ora le tre stagioni di succession. di nuovo da queste parti si cede ai trend imposti dal riconoscimento mediatico: ai golden globe di quest’anno (o quello che ne è rimasto - non si è capito bene) la serie della hbo ha infatti vinto miglior serie drammatica, miglior attore in una serie drammatica (jeremy strong), migliore attrice non protagonista in una serie, miniserie o film televisivo (sarah snook). mecojoni! come dicono con la consueta eleganza a roma. 

devo dire che mi ha messo in difficoltà, perché i piani su cui si muove questo prodotto sono molti ed estremamente diversi. da un lato un plot forte, monolitico ed estremamente classico: vecchio magnate di un impero mediatico sta invecchiando e ci si azzanna tra figli per la successione. e bon. 

l’intreccio, che potrebbe seguire questa stessa traccia classicissima, invece, si barcamena tra un registro shakespeariano (con questioni esistenziali, la depressione, il fallimento, il vuoto di valori, la solitudine) e personaggi che esprimono la vacuità del possesso, da un lato, ma anche l’estrema contemporaneità del vivere esclusivamente per sé stessi e con quell’über-cinismo dei pochi veri miliardari invisibili. 

il tutto, condito con un linguaggio osceno (come osceno è tutto ciò che riguarda i protagonisti), in linea con il wolf of wall street di martin scorsese, tra sesso, droga, eccessi e volgarità di sorta. 

ma non è tutto. perché detta così potrebbe passare come un prodotto polarizzante: o lo odi o lo ami. eppure c’è ancora qualcosa in più, di questa serie, che per quanto utilizzi un registro che mi disgusta, riesce ad attrarre fino all’ultima puntata. ed è qualcosa che soltanto degli sceneggiatori fuoriclasse possono apportare e dei bravi attori mettere in scena, ed è l’elemento ironico, parossistico, che tutto riesce a rendere grottesco, ma in una maniera fine e sottile. 

mi ha ricordato, in qualche modo, il festen di vinterberg, per quella capacità insolita e difficilmente spiegabile che ha di metterti a disagio (anche il termine inglese “unease” rende bene l’idea) con artifici principalmente di scrittura, uniti a una tecnica di ripresa documentaristica e interpretazioni naturalistiche. 

ecco, io non so se consigliare succession o meno, odio le recensioni e non ne faccio: è un be prodotto, molto specifico e non di facile consumazione. 

parole: 372

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