la serie del great quit

appletv, nel panorama del piattume audiovisivo più assoluto, sgancia severance, una serie qualitativamente tre spanne sopra la media e l’unica sin qui ad interrogarsi in maniera profonda sull’attuale mondo del lavoro. un cast eccezionale e ben assortito, dal protagonista adam scott (vecchia conoscenza del regista, ben stiller) all’iconico christopher walken, passando per un john tuturro ben al di fuori della sua confort zone e una patricia arquette più inquietante che mai. la recitazione è un fattore cruciale a definire il trionfo di questa serie, essendo il registro di una sceneggiatura criptica e beckettiana di difficile gestione. pur non potendomi reputare un amante del genere psycho-thriller (forse in questo caso un’etichetta eccessivamente tetra per un’opera dagli accenti spesso tragicomici á la lanthimos), posso invece ben godere di un tema portante ben congegnato e un intreccio solido che conduce lontano: lo spazio di lavoro attendeva dal 2013, anno dell’ultima stagione di the office, un degno erede per vivisezionare la vita tra le scrivanie. forse dobbiamo addirittura risalire al 2006 quando usciva nelle sale il grande capo di lars von trier, per godere di una critica tanto feroce alla spersonalizzazione dell’individuo dietro al computer, dipendente del dipendente del dipendente, tutti servi dello stesso logo, schiavi di postazioni tutte uguali nonostante l’open space e la piantina smunta nell’angolo.

severance fa riflettere senza retorica (sempre in agguato) e angoscia al punto giusto proprio nel periodo del great quit che ha portato a milioni di dimissioni nell’occidente post-pandemico, coincidendo con la fuga dei freelance in mete esotiche a godersi lo status precario di digital nomad. insomma, questa serie casca a pennello ed è un toccasana per tornare a interrogarsi sul nostro quotidiano, fuor di entertainment. e ce n’è davvero bisogno.

parole: 284

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