le scuse di jun woo (di mesi 4)
ciclicamente sui social diventano virali questa sorta di brevi aneddoti, scritti con dovizia di retorica e accompagnati da fotografie in bassa qualità, il cui scopo è unicamente quello di polarizzare un pensiero, di generare commenti e di mettere nelle condizioni i cinquantenni di prendere una posizione netta alla quale reagiranno gli altri cinquantenni. generalmente la piattaforma prediletta da questo genere di contenuto è facebook, ma i boomer più audaci e certificati osano spingerci fino a linkedin, dove altri boomer adorano far notare che questo genere di contenuti c’azzecca col mondo del lavoro come i cavoli a merenda. anche i social, nell’arco della loro pur breve esistenza, hanno consolidato codici simili a bizzeffe.
insomma, uno di questi post-aneddoto stamattina intercetta il mio algoritmo.
e dunque si aprono le danze della mediocrità, scannandosi a suon di luoghi comuni su questa storiella che io non riesco a reputare meno che agghiacciante, mentre i boomer in ascolto si sperticano in lodi per questi angoli di mondo “in cui vige ancora il senso del vivere comune”.
a parte che a me quella coreana più che una cultura de rispetto sembra una cultura imperniata sul senso di colpa, ma ciò che mi angoscia di più, sia della mamma coreana (ammesso che esista), sia dell’autore del post, ma anche di tutto l’uditorio qualunquista, è la mancanza assoluta della più basilare empatia umana. tu pensa sto povero cristo di jun woo (di mesi quattro) con che concezione di mondo viene cresciuto, se già in fasce gli vengono messe in bocca le scuse per i suoi vagiti. e poi la povera madre, che prima di recarsi in aeroporto è andata a far la spesa e ha comprato caramelle e tappi per le orecchie per sessanta sconosciuti (per non parlare del messaggio che ha pensato, scritto, stampato). più che ammirazione, obiettivamente, a me suscita un’immensa compassione.
i bambini, purtroppo - lo dico per italiani e coreani - piangono. non possedere l’empatia necessaria a tollerare il vagito di un neonato, non essere in grado di portare pazienza (oltre che - eventualmente - i propri tappi da casa) per una creatura il cui pianto rappresenta il più basilare segnale dell’esistenza, condensa per quanto mi riguarda il male del mondo contemporaneo. e quelli che applaudono una simile cultura, poi. che, voglio dire, ce ne passerà tra permettere ai propri figli di giocare a calcio col sedile di fronte e chiedere scusa al mondo per aver procreato, no?
ma cosa siamo diventati?
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