la schiavitù dell’agenda nera
non ne sono ancora certo al cento percento, ma ci sto ragionando da un po’ e sento che potrebbe essere una scelta definitiva: quest’anno potrei, per la prima volta dal liceo, non comprare una moleskine. di certo non perché qualcosa sia cambiato nelle moleskine, anzi - l’eccezionalità dei loro prodotti risiede proprio in una certa immutabilità. il “problema”, se così si può definire, risiede in me soltanto e assolve a due ordini di grandezza distinti. il primo è che, per molti versi, non ne ho più bisogno; ahimè il calendar di google è diventato ormai parte integrante del mio spettro quotidiano, ma non è soltanto quello, perché poi le mie buone to-do-list, ad esempio, le ho sempre scritte a mano in agenda. è che - e qui viene il secondo gradino - appartengo a quella categoria di nevrotici che se ha un’agenda poi la deve usare. ma non usare normale, intendo usare in modo metodico e maniacale. roba che soltanto nella seconda pagina mi scoccia lasciare vuoto lo spazio dove mi chiede il numero di patente (perché una patente non ce l’ho) o vedere la colonna dedicata ai viaggi completamente bianca mi fa sentire in colpa per tutto l’anno. ecco, se dovessi riassumere in una parola la ragione per la quale quest’anno intendo trascendere al patto pluridecennale siglato nella mia cartella clinica con il brand milanese, la parola sarebbe: schiavitù. ho sempre ammirato quelli che riescono a non scrivere la cifra con la quale intendono indennizzare la restituzione dell’agenda, quelli che magari per una settimana non scrivono assolutamente niente, quelli che non usano nemmeno uno degli sticker in dotazione. so che tutto questo suonerà comico, ma lo è soltanto parzialmente: quest’anno spezzerò delle catene che mi hanno imprigionato dai primi anni duemila ad oggi. forse. basta superare la prima settimana del nuovo anno, altrimenti poi come mi spiego che l’ho lasciata vuota?
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