raymond & ray

dieci anni fa su per giù, in settembre, mi trattenevo a villa borghese a parlare con un trombettista cubano, un omone di quasi due metri che avevo sentito suonare una malinconica conga sul limitare di una radura. aveva già lavorato col cinema, figurando anche in un film di tornatore, mi disse, ci scambiammo i contatti, ci accordammo su un prezzo e gli diedi appuntamento in via del pellegrino, di lì a pochi giorni.

comincia infatti così un film che diressi, con questo trombettista cubano, di spalle, che suona la stessa malinconica conga sul tetto di una casa in via del pellegrino, di fianco ad una bara, al tramonto.

è un’immagine di cui vado molto fiero, anche se non ho molte occasioni di ricordare quella piccola e intensa avventura. per questo quando oggi ho visto il nuovo film con ewan mcgregor e ethan hawke, raymond & ray, mi sono molto emozionato: sull’ultimo atto il personaggio interpretato da hawke recupera la su tromba e suona, spiazzando la platea attonita, un’appassionato assolo di jazz sulla tomba del padre. mi ha riportato insomma alla mente quella scena che avevamo girato tempo fa e di quando, senza pensarci su troppo, mi son detto: che strumento insolito la tromba per un funerale.

e insolito raymond & ray lo è praticamente in ogni sua componente e nell’accezione migliore del termine. rientra a pieno titolo in quelli che mi sento di definire “bei film”: ben interpretati (quei due vanno con l’automatico, si vede), trama semplice e inespugnabile (due fratelli si recano al funerale dell’odiatissimo ed eccentrico padre che ha lasciato loro in eredità una serie di assurde sorprese), regia “forte”, cioè autoriale, senza tuttavia risultare stucchevole, genere fluido. è l’umanità l’ingrediente di questa nuova produzione apple, diretta dall’eclettico rodrigo garcía (una carriera sottotono tra cinema e tv, ma che ha sempre saputo apportare una personale impronta attraverso generi e formati distantissimi: da in treatment ai sopranos, da nine lives a blue), che è stata in grado come pochi altri prodotti mainstream contemporanei di mettere a nudo le fragilità di ogni singolo personaggio. è uno di quei film che ti porta lontano, raymond & ray, ma che al contempo ci mette tutti davanti allo specchio, presentando situazioni assurde, ma perché assurda è la vita e non la penna dell’autore, perché assurdi siamo noi e perché assurdo e imprevedibile è il nostro percorso.

vedo questo bel film mentre concludo la (ri)lettura delle braci di márai, che bene si sposa con le interpretazioni di mcgregor e hawke, equilibrate nella delicatezza dell’intreccio, come nel romanzo ungherese perennemente in bilico mentre cova un’esplosione che tarda ad arrivare.

lucia, personaggio irresistibile, a un certo punto dice del padre di raymond e ray:

“he ate ten thousand meals, and slept ten thousand nights with his dreams and his nightmares. he had a hundred jobs and no money in the end. he wanted to understand the world, life, everything. but, no. who can?”

mette così in evidenza tutte le contraddizioni di un padre che agli occhi dei figli è semplicemente stato un “cattivo padre”, mentre è soltanto al suo funerale che entrambi scoprono che di questo bizzarro signore non conoscevano altro che la facciata. perché come scriveva whitman, che meglio di chiunque altro ha cantato l’umano:

“do i contradict myself? very well, then i contradict myself, i am large, i contain multitudes”

e, pare, oltre a questo, della vita c’è poco altro da sapere. che bella giornata è stata.

parole: 574

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