i ragazzi di via san calocero

vederli ogni sera accovacciati sui gradini di via san calocero mi fa sentire tranquillo, anche se non li conosco. sono miei coetanei, ben equilibrati tra uomini e donne, fumano sigarette arrotolate, riconosco il tabacco dall’odore. sono gli unici in tutto il quartiere che dopo una certa ora ridono a bassa voce, anche se l’edificio è a un piano ed è tutto per loro. appartengono ad una specie di ragazzi che a milano è un marchio di fabbrica: buona famiglia, parrocchia, senso civico, alcuni perfino impegno politico. li riconosco dalle scarpe da barca sotto i pantaloni catarifrangenti e dalla muscolatura da arrampicata. si rasano bene e hanno gli occhi grandi, per loro fare volontariato è un gesto scontato che i genitori hanno dispensato senza affanno.

un tempo questi ragazzi mi erano insopportabili. rivedevo in loro tutti i desideri di mia madre per me e dunque erano miei nemici. oggi, anche se loro non lo sanno, sono miei amici. il solo pensiero di cambiare indirizzo mi mette angoscia. loro sono il salvacondotto dalla mia ansia: sono volontari. sono generosi per vocazione, mi assisterebbero senza colpo ferire, a qualsiasi ora della notte. dovesse prendermi un attacco di panico nel cuore della notte, non mi sognerei mai di chiamare un’ambulanza, mi sentirei tremendamente in colpa. ma so che potrei mettermi le scarpe, chiudermi la porta alle spalle e raggiungerli in via san calocero. loro sarebbero contenti. e io sarei salvo.

sull’altro lato dell’edificio, che affaccia su via san vincenzo, c’è l’ingresso principale, incorniciato tra due serrande sempre abbassate. le serrande hanno un murales ciascuno, il primo raffigurante la lettiga di legno che nel 1899 venne arrangiata dai soccorritori di due uomini coinvolti in una lite: è l’episodio che convinse diciannove giovani a organizzare il primo soccorso su strada pubblico a milano; il secondo graffito rappresenta una venere di botticelli in tuta arancione, la divisa della croce verde. la bellezza del gesto solidale, incondizionato, generoso.

anche stasera, come quasi ogni sera che vedo i ragazzi di via san calocero, mi viene voglia di preparare due moke e di portare loro il caffè. ma poi non lo faccio, non so bene perché. forse perché sono migliori di me e non lo ammetterò mai. anche se mi salvassero la vita rimarrebbero sempre un poco miei nemici. in effetti rimango indeciso se continuare a detestarli o comprarmi delle scarpe da barca e iscrivermi volontario.

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