quattro giorni

svolta belgio:  arriva la settimana lavorativa di 4 giorni.

la nuova flessibilità dell’orario, pensata anche come supporto alla genitorialità, potrà consentire ai lavoratori in belgio di chiedere di lavorare più ore una settimana per farne meno quella successiva.

tralasciamo l’entusiasmo da un euro e i commenti cosmopoliti. il nuovo assetto prevede «️il diritto concreto alla formazione, una protezione dei lavoratori delle piattaforme digitali, equilibrio tra vita professionale e privata, e misure di rafforzamento dell’occupazione». lo sforzo implicito è, tra gli altri, quello di una genitorialità parificata, permettendo ad entrambi i partner, ugualmente, di alternarsi alle cure dei figli. 

stiamo parlando di una scelta epocale, seconda storicamente soltanto alla battaglia per le quaranta ore, che rappresenta un primo passo significativo verso il diritto alla formazione e il diritto alla disconnessione (questa sconosciuta, quantomeno a milano). 


e cito milano non a caso, fucina di una cultura tossica del vanto da troppo lavoro (esaltata da pagine come il milanese imbruttito) che fa ridere soltanto gli infelici stakanovisti dalla polverina facile. in particolare mi riferisco ai millennials come me che a trentadue anni possono esultare per stipendi da fame a fronte di orari di lavoro indecorosi, weekend inesistenti, fine pena mai. come fa figo, perlomeno nel nostro settore della comunicazione, vantarsi di essere ancora al lavoro alle undici di sera, di rispondere alle mail la domenica mattina, sfoggiando imperitura dedizione al martirio e devozione ad un’azienda che, alla prima occasione, ci prenderà a calci nel culo armandosi di avvocati per risparmiare anche sull’ultimo euro di buonuscita. 


è da una riforma culturale che è necessario partire per poter anche solo sognare di raggiungere traguardi come quello belga. perché le ambizioni di questa generazione non possono essere le stesse di quelle di coloro che ci hanno preceduti, perché intanto il mondo è cambiato e con esso le carte in tavola. 

morire di troppo lavoro (in giappone hanno anche una parola: 過労死 karōshi) appartiene ad un immaginario che nulla ha di eroico alle regole attuali, mentre la pandemia dovrebbe averci insegnato il valore dello studio e della formazione finalizzata all’autorealizzazione, del tempo dedicato alla famiglia e agli affetti, di tutto ciò che - come diceva bobby kennedy - il pil non può misurare: tutto ciò che per cui la vita è degna di essere vissuta. 


parole: 340

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