nuovissimo cinema stoccolma

avevo scritto, proprio all’inizio dell’anno, “teatro e cinema ripartano dal rumore”, che conteneva una certa dose di provocazione, ma il sapore di ciò che penso da tempo: qualcosa deve cambiare o perderemo sia l’uno sia l’altro. 

stasera a stoccolma ho avuto un assaggio della rivoluzione (nel senso stretto) che qui hanno saputo mettere in atto nel settore cinematografico. 

cinema capitol, nel vasastan, centro ma neanche dei più pettinati; la struttura è nuova, si tratta della risposta ad un galoppante monopolio delle sale in tutto il paese da parte di un unico gruppo. l’idea dietro al capitol è evidente: si riparte dall’esperienza (termine più che abusato nel lessico del marketing, ma che qui acquisisce nuovo significato), con due ingredienti fondamentali, nostalgia e lusso. dalle luminarie all’ingresso con i caratteri art deco, alla biglietteria/bistro in stile liberty coi pianali di vetro illuminati a ribalta; dalle tappezzerie a tema floreale alle lampade da tavolo simil-emeralite. tutto preannuncia un’esperienza che prescinde dalla qualità del film e che promette un tuffo nel passato e un buon paio d’ore di agio. ed è esattamente questo il punto: così facendo la pellicola passa in secondo piano, mettendo invece in rilievo la possibilità di godere di una serata di qualità se non superiore, certamente diversa. 

andiamo a vedere the northman, il nuovo film di robert eggers dal cast stellare: hawke, kidman, dafoe, björk, skarsgård (alexander) - un pippone dall’alto valore tecnico ma scarsissimo per quanto riguarda quasi tutto il resto, soggetto, sceneggiatura, recitazione. però ecco, quella che gli inglesi chiamano “cinematic experience” è certamente rispettata. anche se, che due coglioni. ma è proprio questo il punto: il film non è il focus della serata. siamo al capitol per recarci alla biglietteria e ordinare una bottiglia di chablis che costa una fucilata (ma dividiamo per tre), farcela consegnare in un seau à glace, portarci nella sala (una cinquantina di posti), appendere le giacche all’ingresso, prendere posto in quello che ha l’aria di essere più un salottino che una sala cinematografica, stenderci sulle poltroncine comode e reclinabili (con un ampio spazio per allungare le gambe), appoggiare i nostri bicchieri di vino sui tavolini graziosamente illuminati dalle luci soffuse e goderci infine il film con una proiezione di altissima qualità e un suono avvolgente che fa vibrare i sedili. 


per sopperire a film sempre più scadenti e un settore portato al collasso - tra gli altri - da nepotismo e clientelismo, non ci può essere niente di meglio che escogitare meccanismi di vendita che mettano in secondo piano il prodotto cinematografico in sé, elevando invece l’esperienza di sala. mi riferisco ovviamente all’italia, che lamenta perdite intollerabili di sbigliettamento dallo scoppio della pandemia a questa parte, ma che è anni che gli spettatori li tratta a pedate nel culo, alzando regolarmente il prezzo dei biglietti a fronte del nulla cosmico, senza mai l’ombra di uno sforzo per alzare la qualità del servizio. questo vale anche per il teatro, elevato alla enne - ma si tratta di un altro capitolo. 

insomma, è bello vedere che almeno qui si dimostra ancora un briciolo di iniziativa e di sforzo imprenditoriale per vivere nel presente e non nel 1968, per venire incontro ad uno spettatore che ha in media tre abbonamenti mensili di streaming e che di spendere dieci euro per vedere le stesse cose solo un po’ più grandi forse non ne ha voglia. uno sforzo compiuto, da unico, da parte del palazzo del cinema anteo, a milano, limitandosi tuttavia alla sciurettaggine un po’ fine a sé stessa, vale a dire che l’unico ingrediente impiegato è quello del lusso, con poco ulteriore estro creativo. 

perché l’altro ingrediente del capitol di stoccolma è poi la programmazione diversificata: ai film di botteghino si aggiungono le rassegne di classici del passato con proiezioni speciali in pellicola 35mm, singalong di musical, té pomeridiani e matinée, maratone di saghe, e tante altre possibilità ancora. il tutto in una scala di prezzi che varia dal medio-alto al proibitivo, ma che ha preso ormai coscienza che la sala democratica è un sogno del passato e che quelli che vanno al cinema ogni settimana non lavorano in fabbrica, ma hanno un solito abbonamento a netflix e stanno bene a casuccia propria. 


insomma, a quelli che dicono che “la sala è finita” dopo stasera rispondo con ancora più certezza che finita lo è certamente per i ciuloni, ma non per coloro che hanno saputo osservare un settore in rapido mutamento, ascoltare un pubblico soggetto a nuovi stimoli e abitudini, interpretare dei trend di mercato che hanno lasciato tempo e spazio al rinnovamento, ma che certamente hanno richiesto curiosità e attenzione. 

la sala forse subirà la parabola dell’opera, ma se è questa l’alternativa all’estinzione, allora perché non interpretare il ruolo di quel luogo magico in cui l’esperienza vale bene il prezzo del biglietto, a dispetto delle quattro minchiate che il nostro cinema sforna ogni mese? 


parole: 810

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