musica che non ascoltavo da solo

con l’approssimarsi del giorno in cui diventerò il padre di qualcuno, cominciano ad affastellarsi immagini di un futuro remoto in cui la creatura vorrà sapere cose sul mio conto. le stesse informazioni, immagino (non me lo ricordo) delle quali devo aver chiesto conto ai miei genitori a suo tempo, con quel misto di fascinazione morbosa e ricerca di un’identità incerta, che ogni generazione prova per quella che l’ha preceduta (prima ovviamente che subentri la fase in cui i genitori si detestano e liberarsi del loro bagaglio storico e culturale diventa una priorità assoluta).

domande tipo “come passavi le tue giornate alla mia età? eri bravo a scuola? sapevi giocare a pallone?” ma anche “che musica ascoltavi?” ecco, in particolare quest’ultima domanda mi angoscia non poco. perché mentre la generazione dei miei genitori sull’ambito culturale può vantare numerose medaglie al petto - diventando quasi difficile dare una risposta deludente - la mia di generazione è un attimo che traumatizzi i figli rispondendo cose come marco masini, gli 883, nek e i luna pop. perché sebbene a me alle medie piacessero di molto gli oasis (tutt’oggi, per tre canzoni, poi che due coglioni) e nutrissi una certa passione per i beatles (a proposito di morbose fascinazioni), è pur vero che gran parte della mia adolescenza l’ho trascorsa mandando a memoria album interi degli articolo 31 e a piangere le prime lacrime d’amore sulle più banali canzonette del liga. non i led zeppelin, ecco. ma nemmeno gli who, o i clash, bob marley e nemmeno i creedence clearwater revival, bruce springsteen o neil young, toh. niente di tutto questo, ahimè. e anche finché sarà piccolo mi angosciava l’idea di rifilargli soltanto la musica di un periodo che io non ho mai vissuto, cioè la musica che ascolto io. so che sembra una quisquilia, ma nelle ultime settimane si trattava di una questione che aveva preso la forma della priorità durante i miei sonni.

poi oggi la rivelazione. grazie ad un algoritmo particolarmente ficcante - quello svedese - spotify, ingaggiata una delle sue playlist radio mix, finisce su una canzone che, come con una violenta pedata, spalanca in me un portone su una miriade infinita di ricordi seppelliti negli abissi della memoria. in un attimo riaffiorano le immagini di mille viaggi seduto sul retro di una citroën xantia, a cantare e ricantare fino alla nausea le quindici canzoni dei soliti tre cd, sempre gli stessi: “come un gelato all’equatore” di pino daniele, “tournée 2” di paolo conte, ma soprattutto “próxima estación: esperanza” di manu chao. rivelazione: manu chao! e così, da “mr. bobby”, decido di riascoltare l’album per intero, nell’unico modo in cui al tempo si ascoltavano gli album: in ordine. senza ombra di dubbio, l’ultima volta che dovevo aver ascoltato i brani di questo album - peraltro tutti collegati l’uno all’altro come in un flusso di coscienza di quarantacinque minuti e trentanove secondi - sarà stato non più tardi del 2002 o del 2003. e, miracolo! conosco ancora a memoria ogni parola, ogni nota, di ogni singolo brano, potendo anticipare i versi della canzone successiva come se l’avessi ascoltata non più tardi di qualche settimana fa. ma non sono solo parole e note a tornarmi in mente, ma anche tutto lo spirito di un periodo in cui queste canzoni rappresentavano un movimento di milioni di persone, quello dei social forum e delle proteste contro la globalizzazione.

perché esperanza è proprio uno di quei monumentali mosaici di suoni e di parole, di lingue e di strumenti, che in quegli anni cantavano le identità del mondo, rivendicandone la ricchezza e la necessità di tutelarla. oggi ripensando a manu chao lo si categorizzerebbe come un fattone dei centri sociali, ma per chi come noi ballava le sue canzoni dietro ai furgoni, avvolti nelle bandiere della pace e nelle nostre kefiah (prima che diventassero di moda - pure quella ci siamo dovuti sorbire), canzoni come “mi vida” o “homens” rappresentavano il sogno di un mondo migliore, più generoso con chi aveva di meno e severo con chi voleva di più per se stesso a discapito del pianeta.

so cosa state pensando: “povero bambino” e che gli farò due palle grosse come cocomeri con manu chao. no, non voglio neanche rincitrullirlo. però ecco, mi sono tolto un pensiero: alla domanda “che musica ascoltavi alla mia età?” risponderò “manu chao, ma non lo ascoltavo da solo, eravamo in milioni. e avevamo ragione”. col senno di poi.

mi viene in mente la vignetta di biani per l’anniversario dell’uccisione di carlo giuliani: un trentenne dice a un uomo più anziano in cravatta “quindi avevamo ragione noi” e quello gli risponde “sì, ma non avevate nient’altro”. touché.

parole: 775

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