lost in čechov

di uno dei miei primi anni da studente di teatro ricordo un’analisi della čajka che mi aveva particolarmente sconvolto. il maestro era un giovane carmelo rifici, che poi sarebbe diventato stretto collaboratore di ronconi e, infine, a questi sarebbe succeduto come direttore della scuola di teatro del piccolo. non un coglione ecco, lo specifico per nobilitarne le vedute rispetto a tanto ciarpame che ancora si vende per oro colato in questo paese.

la čajka comincia così, con uno scambio tra medvedenko e maša:

  medvedenko — ma perché andate sempre vestita di nero?

  maša — perché sono infelice. porto il lutto per la mia povera vita.

e noi, giovanissimi interpreti, volendo fare bella figura e rendere onore all’oscurità che quelle drammatiche parole evocavano, ci sforzavamo di affossare le nostre voci pubescenti di qualche ottava e di strabuzzare gli occhi replicando un’ombra di dolore, nel tentativo di risultare il più tetri e depressi e russi possibile. 

dopo alcune grottesche prove, rifici (che è tanto bravo, ma che sa essere anche tanto stronzo) cominciò a farsi burla della nostra superficialità e finalmente si decise a edurci sulla storia delle due rappresentazioni della čajka in russia, anno domini 1896. 

la prima de il gabbiano ebbe luogo al teatro aleksandrinskij di pietroburgo e fu un sonoro fiasco. vera fëdorovna komissarževskaja, che alcuni consideravano la migliore attrice di russia, fu intimidita dal pubblico ostile a tal punto da perdere la voce. čechov, dal canto suo, si era rifugiato dietro le quinte durante gli ultimi due atti, e poi annunciò ai suoi più stretti amici e collaboratori di aver chiuso con la drammaturgia.

dovettero passare tre anni prima che stanislavskij decidesse di riproporre il dramma, rivisitandolo con la sua innovativa regia presso il teatro d'arte di mosca. questa volta la čajka brillò del suo meritato successo, vestendo i panni che le conosciamo oggi, ovvero di una delle drammaturgie più celebri e inscenate a livello mondiale. 

ma cosa era successo nel passaggio dall’interpretazione (fallimentare) del suo stesso autore a quella del grande maestro russo? (*sghignazzata compiaciuta del rifici*) semplicemente la lettura di stanislavskij del gabbiano era stata quella di una commedia invece che di un dramma, come lo aveva invece concepito čechov.

ritorniamo alle battute iniziali:

  medvedenko — ma perché andate sempre vestita di nero?

  maša — perché sono infelice. porto il lutto per la mia povera vita.

ora immaginiamo che l’interpretazione degli attori di stanislavskij passi per la ridicolizzazione di due personaggi grotteschi, due egolatri patetici che come unica occupazione concepiscano la propria commiserazione. quanto varia il percepito di queste due semplici battute! il pubblico pietroburghese aveva rigettato la messa in scena di čechov perché aveva odiato i suoi personaggi leziosi, mentre aveva apprezzato la loro autoironia nella nuova versione moscovita. tutto per una misera discrepanza di genere. 

e la cosa ancora più incredibile è che quando ho cominciato a scrivere questo aneddoto avevo tutta un’idea di dove intendessi andare a parare - qualcosa di comunque legato all’attualità - e ora mi sono completamente perso e non mi ricordo più quale fosse la morale della storia. è luglio. fa caldo. ho bisogno di una vacanza. eccola, la morale.
però la storia valeva. 

parole: 525

čechov legge il gabbiano agli attori del teatro d'arte di mosca

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