una lingua aperta (anzi, spalancata)

lorenzo pregliasco questa mattina ha twittato due immagini da lui stesso scattate di una vetrina torinese; si tratta di una sede di fineco che ha esposto una campagna del brand con scelte linguistiche peculiari: dubbie nel primo caso, errate nel secondo.

“non vogliamo che investi tanto. vogliamo che investi meglio” è il primo copy e ad essere incriminato è il mancato congiuntivo (sarebbe stata più opportuna la formulazione “non vogliamo che tu investa tanto”), mentre il secondo copy è “non ti chiediamo fiducia. ce la guadagnamo” (che anche il mio iphone segna errore, mentre cerca disperatamente di modificarlo).

il sondaggista di youtrend suggerisce dunque “ai pubblicitari di fineco” un ripasso di italiano; e trovo che la formulazione scelta sia molto equilibrata, non potendo sapere se la campagna sia stata realizzata in-house oppure da un’agenzia. i commenti al post di pregliasco, difronte a un’inoppugnabile constatazione (ma è twitter, si sa), sono poi centottanta, molti dei quali polemici per qualche ragione, sostenendo principalmente che il marketing dovrebbe parlare la lingua della ggente; “e quindi guadagnamo senza i?” domanda pregliasco. la verità, purtroppo, è orrenda, o meglio: le verità sono orrende.

prima verità: se il presidente della camera scrive “inpiegato” sul suo curriculum, allora una banca ha il sacrosanto diritto di scrivere guadagnamo senza i.

seconda verità: i pubblicitari non sanno l’italiano. non saprei dire se non l’hanno mai saputo; quello che so per certo è che di una ventina di curriculum che riceviamo in agenzia ogni settimana (molti dei quali proponendosi come copywriter), diciotto in media comprendono grossolani errori grammaticali. dunque anche chi vorrebbe scrivere di mestiere si sente in diritto di non leggere a sufficienza da scrivere qual’è con l’apostrofo.

terza verità: prima che un copy compaia sulla vetrina di una filiale di banca, la linea di controllo è affollata, che a scriverlo sia stato lo stesso responsabile marketing di fineco o un pischello d’agenzia. azzardando un numero posso immaginare che a leggere quei due claim e a non averci trovato nulla di bizzarro siano stati non meno di una ventina di individui, da chi l’ha scritto al grafico che lo ha impaginato, dal loro capo al capo del capo fino allo stampatore. e dunque la quarta verità è: i pubblicitari saranno anche capre, ma non è che tutti gli altri (bancari e banchieri in primis) siano tanto meglio. e questo ci riporta alla prima verità sul presidente della camera (qualcuno deve pur averlo eletto), conducendoci in una spirale tragica e autofagica. ma chi siamo noi per giudicare. va bene così, ormai vale tutto. non troppo tempo fa qualcuno (in agenzia o in banca) per una svista simile avrebbe passato un brutto quarto d’ora, nel migliore dei casi, oppure perso il lavoro, nel peggiore. me la vedo invece la reazione in fineco questa mattina quando qualcuno ha fatto notare l’errore: “mò ci tocca rifarli tutti?” e l’altro “ma figurati, hai presente lorenzo fontana?” o qualcosa di simile. e dagli torto.

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