le cose del nemico

una borsa. dev’essere spaziosa, ma comoda da trasportare. il trolley garantisce agilità, ma la struttura rigida porta via un sacco di spazio. quelle morbide, per contro, contengono più roba, ma sono scomode da caricarsi in spalla.

stamattina ho aperto lo sgabuzzino e ho preso in rassegna tutte le borse. quale sceglierei, io, per fuggire? quale borsa conterrebbe tutto ciò che mi è più caro? comodità o spazio? io che conservo anche gli scontrini e i biglietti del cinema, che ho accatastato centinaia di quotidiani in studio, divisi per periodo e per tema, scalati per formato; io in una borsa, che ci metterei? sembra sciocco, ma di fronte alle immagini che vediamo ormai ogni giorno, osservando le centinaia di profughi in marcia sui ponti improvvisati, o nella neve lungo strade dritte e deserte, guardandoli abbandonare le loro case e fuggire verso paesi che non sono il loro, con solo quelle borse, sacchetti a volte, non posso non pensare a cosa prenderei io. tutta la mia vita, la mia nuova vita, tutte le speranze di sopravvivenza e di un domani migliore, raccolte in una borsa. 

e quando ben poi hai deciso e ti sei messo in marcia verso questa nuova vita, pensare a casa tua, li, chiusa, alla mercé delle bombe, dei predoni o semplicemente dell’incuria, pensare alla tua vecchia vita li, ad aspettare di venire cancellata, spazzata via dalle bombe nemiche. che di tutti i tuoi sogni, delle tue cose, delle fotografie, dei vestiti, delle lettere, dei dvd, di tutto, presto il tempo faccia un cumulo di polvere e lo disperda sugli stivali sporchi del nemico in marcia; che il nemico stesso a un certo punto possa, una volta conquistata la città, varcare la soglia del tuo appartamento, appoggiare il fucile sul comodino all’ingresso, il casco sul divano, e abbandonarsi a un lungo sonno sul tuo letto. che tutto ciò che un tempo ti apparteneva possa da un momento all’altro appartenere a qualcun altro, tu, quando hai scelto la borsa e gli oggetti con cui riempirla, non ci avevi pensato. ma ora sei li, nella bufera, le dita congelate, a pensare a tutte le cose che avresti voluto prendere e che invece ti sei lascito indietro. 

mi torna in mente quell’aneddoto ebraico in cui un ebreo fa all’altro: “senti ma com’è che ci sono così tanti violinisti ebrei e così pochi pianisti?” e quell’altro gli risponde “hai mai provato a scappare nella notte con un pianoforte sulle spalle?” 

imbattibili, gli ebrei.

parole: 410

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l’ineluttabile resa di davide

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un brindisi ai pensieri belli, uno a quelli brutti