i lakers in salsa mcenroe

beve pepsi tra un game e l’altro, catenina d’oro al collo, doppio taglio tamarro, braccio tatuato, maglia da basket, un tennis scomposto, sbruffone, smash che sembrano slam dunk, dialoga col pubblico, ogni palla giocata una scenetta, una smorfia, un commento. viene da un paese di gente così, inclassificabile, metà proibizionisti, metà chiassosi ed eccessivi. ed è qui che si gioca, australian open, rod laver arena, melbourne park. il pubblico è cafone, fischia e strilla su servizio, applaude gli errori. al beniamino (1995) sembra (nessuno ne è certo) gasare, al russo - incredibilmente - pare non tangere. solo alla fine, giocata l’ultima palla, farà un gesto rapido della mano come a dire “questa ce la siam tolta”, ma è chiaramente rivolto al pubblico che, sembra dire, ha dato troppa importanza a una partita già decisa in partenza.

quell’altro, quest’altro, il russo (1996) il primo pugnetto lo sfodera dopo tre ore di gioco, al tie guadagnato sul set decisivo (momento che coincide con l’australiano che spacca la racchetta al suolo, quasi un rito, ormai del tutto privo di rilievo tanto che anche i commentatori non spendono più di due parole sul gesto); slanciato, sponsor lacoste, faccia da ragazzino. e gioca un tennis altrettanto scomposto, brutto da vedere, quanto l’australiano. ma entrambi sono incredibilmente potenti e veloci, come se lo stile fosse soltanto di intralcio all’efficacia: tolto l’ostacolo, è tutto un marrovescio coatto macina-punti.

kyrgios - medvedev è sempre una partita sulla quale un appassionato di tennis deve buttare un occhio. son quei match imprevedibili, nonostante la superiorità di medvedev non sia riscontrabile soltanto nel ranking atp, ma anche e soprattutto nell’approccio mentale. ed è proprio su questo che mi soffermo, ogni volta. perché quello di kyrgios è un trend e non va silenziato; come lo stesso vale per lo showman monfils, sua controparte francese, che imita le esultanze di lebron james, anche lui rappresenta un modo di mantenere il tennis nella contemporaneità e nell’interesse delle nuove generazioni per evitare che faccia la fine del bridge. e va bene. ma ciò non toglie che, per il tipo di sport che il tennis è, un simile dispendio di energie (lo abbiamo visto nel giovane tiafoe, che è riuscito a far perdere la pazienza perfino a sinner) non potrà che compromettere la carriera di questi giocatori guasconi; carriera che magari procederà rapidamente sul piano dell’immagine, con sponsor affamati delle loro bravate e i media felici di firmare un nuovo pezzo che ne commenti le faccende di gossip, ma che certo non gioverà alla carriera sportiva, che richiede una mente salda, limpida, autosufficiente, compassata, isolabile, una determinazione e una concentrazione di ferro come quella che più di ogni altro è sfoggiata da djokovic, ma anche da leggende come federer e nadal. e non è la stessa cosa, se lo state pensando, come per un mcenroe: lo show era per sé stesso e non per il pubblico (come ibrahimovic, in altra disciplina), le sceneggiate sono sempre state finalizzate a riconnettersi con un super-io perennemente da nutrire al fine di vincere la partita e mai a scopi performativi.

insomma, i kyrgios del tennis contemporaneo staranno anche facendo un favore allo sport e alla percezione che ne si ha, ma di certo non lo fanno a sé stessi in quanto sportivi. la partita, ancora una volta, è stata all’altezza e ha intrattenuto. dopodiché gli australian open sono un po’ questa roba qui, caciarona e alcolica. aspettiamo con impazienza che il tennis torni nel vecchio continente, perché bene o male a wimbledon un po’ di vergogni di sfoggiare la casacca dei lakers sul centre court. ed è giusto così.

parole: 590

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