la cancel culture ai tempi della guerra
ciclicamente vado sul sito dell’atp a dare un occhio al ranking. si tratta di una schermata molto ben fatta, con le freccine che ti segnano chi è salito e chi è sceso in classifica, i punti accumulati, le statistiche ecc. tutto il sito del tour è realizzato molto bene, con i parziali live da tutti i campi attivi a livello globale, interessanti articoli di approfondimento, curiosità, video interviste, eccetera. credo che si tratti di un gesto abbastanza comune a tanti appassionati di sport, solo che ad esempio per il calcio basta scrivere “serie a” per accedere direttamente alla classifica, mentre per il tennis occorre andare sul sito atp.
in principio ho creduto che si trattasse di un errore di caricamento, ma dopo avere aggiornato la pagina e una rapida equazione mi sono reso conto che il sito ha eliminato, a cavallo degli ultimi due giorni, le bandiere dal profilo dei giocatori russi. così:
ma dico, vi siete completamente rincoglioniti? cosa dovrebbe rappresentare questa scelta? non stiamo parlando di un tour di competizioni nazionali, ma dell’identità di giocatori individuali! quindi se la russia entra in guerra, allora medvedev (numero uno in carica) non è più russo? e rublev (numero 6), che giusto settimana scorsa, a conclusione della semifinale del dubai championship si era coraggiosamente esposto scrivendo sul vetro della telecamera “no more war, please”.
far sentire isolata la russia ha senso: è una strategia e, in larga parte, sta funzionando. far sentire isolati i russi, no. isolare la cultura russa aprirebbe una ferita che impiegherebbe decenni a rimarginare.
se rimuovere la statua di cera raffigurante putin dal musée grévin ha quindi senso (come abbandonare in segno di protesta l’aula dell’onu dove si discute il disarmo quando prende la parola lavrov) è chiaro che rimuovere la bandiera dal profilo dei giocatori del circuito atp è una stronzata colossale che fa il paio solo con la richiesta della bicocca di rimuovere il corso su dostoevskij tenuto da paolo nori.
non vorrei dover rinfrescare la memoria a tutti quanti, ma è anche e soprattutto grazie al coraggio e ai sacrifici dei cittadini e dell’esercito russi, che non più tardi di una settantina di anni fa ci siamo liberati dal nazifascismo. vogliamo cancellare anche questo? oppure andiamo dritti ai roghi in piazza e bruciamo tre secoli di capolavori della letteratura russa?
vediamo di darci tutti quanti una colossale calmata: facciamo la guerra a putin, al despota putin, ma non al popolo e alla cultura russa, spesso antidoto stesso al putinismo di cui è oggi vittima l’ucraina. putin sarà anche russo, ma così anche pasternak, anna politkovskaja (per citare un paio che di russia hanno perito) e tutte le decine di persone che in ogni parte della federazione sono state fatte sparire negli ultimi sette giorni per aver protestato contro l’invasione dell’ucraina.
ora più che mai bisogna celebrare la cultura russa, perché è la cultura, sempre, ad affossare i dittatori. amici russi, amici della pace, non lasciate che vi venga presa la vostra identità. potete rimanere orgogliosi della vostra patria, che - come la mia - ha dato i natali tanto a monumentali teste di cazzo, quanto ad alcune delle menti che hanno rivoluzionato la storia del nostro mondo.
mi ritorna in mente quella meravigliosa scena del film la febbre di alessandro d’alatri, in cui a fabio volo appare in sogno il presidente della repubblica. in un moto di rabbia e sdegno per come si sia sentito tradito dal proprio paese e dalle sue istituzioni, il protagonista decide di restituire la carta d’identità all’anziano presidente.
quello lo guarda stupito: “perché?” gli domanda. “perché non voglio più essere niente. non voglio più essere cittadino, non voglio più essere italiano. solo mario.” il presidente allora, dispiaciuto si fa raccontare cosa l’abbia condotto a tanta frustrazione e infine riallunga il documento al ragazzo con un sorriso: “guarda, riprenditela, mario. anche se sei solo, qui nel tuo bar, ti potrà sempre servire.”
è una scena che ogni volta, anche a distanza di anni, mi fa sentire meglio - nella sua semplicità - mi ha sempre riconnesso con le ragioni che, nel bene e nel male, mi hanno permesso di sentirmi orgoglioso del mio paese, nonostante tutto.
come non permetterei mai a nessun tiranno di negarmi l’orgoglio di sentirmi italiano, non chiederei mai a un russo di rinnegare l’amore per la propria terra. i tiranni vanno e vengono, le radici, se sono profonde, rimangono. e ci ricordano chi siamo, quando più ne abbiamo bisogno.
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