in principio è la solitudine

il momento in cui si viene al mondo è violento, non solo per la madre: dal calore si entra in un ambiente freddo, da stretto lo spazio si fa infinito, da uno stato di leggerezza si precipita nella gravità, ciò che era conosciuto si fa sconosciuto, l’ombra si fa luce, i suoni si fanno rumore e tutto è nuovo e sconcertante e spaventoso. prima di quell’attimo non si conosceva altro che uno stato di protezione, l’istante dopo si è facili prede di un mondo ostile.

ma soprattutto, la prima conoscenza che si fa nel proprio venire alla vita, è la solitudine; e non una solitudine qualsiasi, ma un rapido distacco da chi, sin dal nostro concepimento, ci ha ospitati, nutriti, difesi: una netta separazione tra la compagnia e l’isolamento, tra la condivisione e l’autonomia.

il precipuo stato di esistenza è la constatazione di indipendenza, del dover - d’ora innanzi - badare a sé stessi e fare affidamento sulle proprie capacità innanzitutto.

“quando si muore, si muore soli,” si dice, ma è nascendo che, ancora di più, si è soli: poiché in quell’istante è concentrata tutta l’amarezza della sopravvivenza; se la morte avviene a conclusione di un’esistenza che può essere stata felice o meno, agevole o impervia, la vita invece è vigliacca e colpisce a tradimento quando tutto ciò che si è conosciuto è calore, e pace, e protezione, e semioscurità, e amore, e sazietà.

ho letto che nessun uomo è stato più solo di micheal collins il quale, mentre armstrong e aldrin allunavano, si ritrovò a compiere un intero giro intorno alla luna nel modulo columbia, in completa solitudine, nel punto più buio che l’uomo avesse fino ad allora sperimentato.

così immagino l’essere vivo per la prima volta: come un viaggio nell’inesplorato, come un salto nel vuoto, dove tutto è sconosciuto e buio e nulla.

parole: 305

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