il silenzio che ho perso

la scorsa notte non riuscivo a prendere sonno, così ho letto fino a tardi. l’accordo è che poi, spenta la luce, io apra la finestra; così, raggiunta una pagina a cifra tonda, spengo la lampada sul comodino e scorro di una spanna la portafinestra. saranno state quasi le due e a quell’ora sono abituato - specialmente in estate - che qui in montagna si sprigioni un concerto di canti notturni, dalle cicale alla civetta, dai pipistrelli al tordo e tanti altri che non riconosco o dei quali non sono a conoscenza. è un coro nel quale ciò che si distingue si unisce a ciò che è indistinto ma continuo, il suono delle formiche in marcia, il ronzio esausto di api stremate dal lungo vagare, l’ansimo della terra stessa e dei suoi corsi d’acqua, la lenta estensione delle radici che scavano nel fango in cerca di ristoro.

insomma, rintontito e pronto a farmi cullare da quei suoni ormai noti e confortevoli, apro la finestra e al buio mi rimetto a letto; ma mi ci vogliono alcuni minuti prima di accorgermi che dall’esterno giunge soltanto un grande silenzio. resomi conto della stranezza, quasi mi spavento, ma rimango immobile sotto le lenzuola origliando il bosco, dal quale - ci metterei la mano sul fuoco - non giunge nemmeno il frusciare delle foglie. sarà il caldo, mi dico, l’assenza del più flebile refolo d’aria, sarà la luna o il cielo coperto. sia come sia, il silenzio più assoluto. che è un silenzio malsano, è il silenzio della morte o della città, dove dopo una cert’ora nulla è più vivo, ma certo non può essere il silenzio della montagna, che è un concerto cui ogni forma vivente prende parte con il proprio strumento: la gioia del cuore e dell’amore, della fame e del tormento.

e poi certo, mi addormento. è un’anomalia sulla quale nulla posso, non c’è vite da avvitare, né perdita da tamponare; ma mi ricorda il passaggio di un libro che lessi anni fa e che nell’arco della giornata non sono riuscito a ritrovare. si trattava di una raccolta della minimum fax sul giornalismo d’autore e in particolare del volume dedicato alle catastrofi naturali. non ricordo ora se nel pezzo dedicato al terremoto di san francisco del 1906 descritto da jack london, oppure se in quello redatto da hemingway sulla tragedia di yokohama nel 1924 - o forse addirittura in entrambi - ma sono certo che qualche pagina era stata dedicata proprio ad un insolito silenzio che aveva anticipato le calamità: un silenzio anomalo e allarmante che in molti avevano notato e che aveva coinvolto gli animali di ogni taglia, dai lombrichi ai cani da guardia, e che da tutti era stato ignorato.

anche io l’ho ignorato. perché cosa avrei dovuto fare, avvertire le autorità? i vicini? svegliare mia moglie e saltare in macchina? e con che giustificazione? il silenzio?

no, ho atteso che il timore lentamente diluisse in torpore e, infine, in un sonno inquieto e privo di sogni. al mattino, come prima cosa ho teso l’orecchio e ho sorriso al suono dei grilli e al canto della ghiandaia. c’è meraviglia più grande che svegliarsi con il sollievo di sentir vivere il bosco? di sentire la propria vita incontrare quella della montagna? come accade spesso e con tante cose della vita, occorre temere di averle perse per apprezzarle come fossero nuove. come l’amicizia, come un amore. come ciò che abbiamo di più caro al mondo.

parole: 573

Indietro
Indietro

una parte del paesaggio

Avanti
Avanti

è “soltanto” accountability elettorale