il buon amministratore
un manager viene giudicato non soltanto per come ha gestito l’azienda durante il proprio periodo di attività, ma anche sulla base degli effetti che le proprie scelte hanno comportato dopo la sua partenza. come un governo. un governo non è bello o brutto, ma il suo operato non si può che valutare ex post, quando i risultati del proprio operato emergono con chiarezza e sono comprovati da un’economia sana, ad esempio. immaginiamo un dirigente d’azienda che venga lodato per una fusione: difficilmente qualche anno più tardi verrà ricordato come un luminare se la fusione ha poi portato al fallimento dell’intero gruppo.
e questo vale anche, per quanto mi riguarda, per il compagno segretario michail sergeevič gorbačëv, che ha preso le redini di un’unione sovietica al collasso, l’ha fatta crollare definitivamente con la complicità della chiesa cattolica, ha chiamato il tutto “libertà” e ha consegnato un continente al caos. e gli hanno dato un nobel, per sicurezza. l’anno in corso è la prova provata del fallimento delle politiche adottate da gorbačëv, manager che è subentrato in azienda in un momento difficile, ha riformato l’intero apparato fondendolo con il più rilevante competitor sul mercato, si è preso le lodi degli stakeholder e poi, chianne chianne, si è defilato, lasciando il malloppo in mano ad un successore peggiore di quello che lo aveva preceduto. se questo è un buon amministratore.
a me tutto questo incensamento del fu compagno segretario mi ricorda quelli che nel 2008 applaudivano la lehman brothers per la lungimiranza. purtroppo di michail sergeevič gorbačëv e delle sue scelte, rimarranno soltanto le macerie. parlano i fatti.
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