di ciò che resta
emergono dai bacini in secca, dai seracchi gocciolanti, dalle rive disidratate, gli avanzi della nostra umanità. sepolta per venire dimenticata, la salma di ciò che fummo, riaffiora dal regno dei morti con raccapricciante sdegno: le nostre bombe, le nostre imbarcazioni, i nostri militari imbalsamati.
il cambiamento climatico, che nulla per effetto ha da invidiare ad una guerra, ci restituisce l’orrore dei conflitti passati. ieri un ordigno sul letto (di ciò che rimane) del fiume, oggi un soldato austroungarico ibernato (in ciò che rimane) del ghiacciaio.
sommando orrore all’orrore, fritz ci ghigna in viso con quella sua mascella storta e quei suoi pochi denti intatti; irride, fritz, la nostra incapacità di sconfiggere il peggiore dei nemici, tenace come una gramigna, inestirpabile come il peggiore dei mali: noi stessi, inesorabilmente noi, caparbi nello sterminio di ciò che di meglio abbiamo da offrire a questo povero mondo.
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