if we fall

la strategia di comunicazione ucraina ha subito oggi una rilevante variazione, dopo due settimane di messaggi finalizzati ai sensi di colpa, molto correttamente il ministero della comunicazione di kyiv vira sull’empatia. 

se la prima programmazione infatti aveva come ambizione la possibilità di aderire alla nato prima e all’unione europea poi, una volta appurato che per noi avrebbe comportato una dichiarazione di guerra (scenario che l’occidente ha spiegato senza giri di parole di non voler contemplare) il governo di zelens'kyj sta desistendo sui contenuti più vittimistici, tesi a far leva sui nostri rimorsi, e cambia piano editoriale. 

siamo all’abc della narrazione bellica, ma la scelta stilistica è tutt’altro che scontata, optando per una resa iperrealista e un copy tanto essenziale quanto efficace. al ministero sanno decisamente il fatto loro. 

una donna in posa, spalle alla tour eiffel, sta aspettando che l’accompagnatore le scatti una fotografia, dopodiché si scatena l’inferno, cadono le bombe su parigi, caccia sfrecciano su montmartre, grida di terrore, nuvole nere si alzano dai palazzi del centro. poi schermo nero e l’over “just think if this were to happen in another european capital.” e poi un virgolettato tra i più iconici che abbiamo potuto sentire dal presidente zelens'kyj: “we will fight till the end. giving us a chance to live. close the sky over ukraine, or give us air fighters. if we fall, you fall.” che poi è il messaggio di campagna che le istituzioni ucraine hanno usato per rilanciare il contenuto.

#ifwefallyoufall funziona nella sua semplicità; arriva all’osservatore con il giusto impatto (il video nella su totalità dura soltanto quarantacinque secondi) e le ultime cinque parole rivelano ciò che soltanto la narrazione più catastrofica di questa guerra e del suo possibile epilogo possono comunicarci, vale a dire che l’ucraina rappresenta soltanto il principio dei piani di putin. 

il cambio di rotta è giusto e non fa una piega, persino in un momento così complesso, a kyiv hanno capito che lo storytelling va alternato e che deve puntare meno il dito sulle mancanze occidentali e mirare invece più a empatizzare con i timori dati dalla prossimità geografica. si chiama terrorismo psicologico e ognuno di noi, al posto loro, farebbe la stessa cosa. per quanto personalmente non creda che vedremo mai bombardare parigi da parte dei russi (ma ormai possiamo anche ammettere che stupirci di qualsiasi cosa diventi sempre più arduo), è ovvio che nel retro cranio il dubbio ci resti. 

come ha scritto, mi pare, un opinionista del new york times, il pericolo più grande costituito dalla strategia occidentale, è che sanzione dopo sanzione, a un certo punto putin non abbia più nulla da perdere. e un pazzo sadico, messo all’angolo, senza più niente da perdere, è un pazzo sadico pericoloso. quindi possiamo dire che sì, la virata comunicativa ucraina ha tutte le carte in regola per fare breccia nel nostro immaginario. 

che sia vero o meno che “se cadono loro, cadiamo anche noi”, il ricatto morale è più che fondato e non possiamo far altro che ammirare l’apparato comunicativo di un paese sotto assedio, per la propria lucidità di pensiero e impiego di mezzi. 

da questo punto di vista, l’ucraina ha dimostrato di avere le idee ben più chiare della macchina di propaganda putiniana che, a dispetto della narrazione fatta in patria di questo conflitto, dovrà misurarsi con la processione di bare che ne invaderà i confini a stretto giro.

parole: 562

Indietro
Indietro

nel mio silenzio

Avanti
Avanti

l’ineluttabile resa di davide