la tua dieta, i gas serra
da quasi tre settimane mi sono messo a dieta. per la prima volta in vita mia. ho deciso di sfruttare agosto, in quanto mese più tranquillo col lavoro, per rimettermi in forma con un incrocio tra dieta, digiuno intermittente e esercizio fisico. un po’ una miscela esplosiva, ma che ha dato rapidamente i suoi frutti, facendomi perdere oltre sei chili.
specialmente nelle finestre di alimentazione, e cioè di sospensione del digiuno, mi è indispensabile rifornirmi di fibre quindi mi imbottisco di frutta secca, noci e anacardi. per molti non dico cose nuove, per me ogni giorno è stata una scoperta.
questa frutta secca e questi concentrati di cibo per scoiattoli, oggi vivono un presente di popolarità sugli scaffali dedicati, che mi risultano essere reperibili bene o male trasversalmente a tutta la grande distribuzione. noberasco, in questo panorama, è uno dei brand di punta, con una scelta vastissima e una differenziazione di prodotto che spazia dai sacchetti mix alle barrette energetiche. è sempre noberasco l’unica marca - attenzione, non si tratta di un’indagine di mercato, ma di osservazioni personali raccolte da spese effettuate attraverso tre regioni - a porsi un problema di origine della materia prima con una certa serietà. è sua infatti la linea 100% italia che raccoglie un prodotto dalla filiera completamente nazionale, compreso di arachidi, mandorle, fichi, mele, noci, nocciole, albicocche. infondo si tratta di frutti tipicamente italiani e dalla produzione a basso impatto ambientale (è frutta secca) e dall’efficacia garantita sulla nostra dieta: sfama senza ingrassare.
poi però scopro che il frutto più consigliato dai guru del fitness, dalle app più gettonate per la perdita di peso, dal passaparola dei fanatici del benessere, è il mango. ma sono anche molto suggeriti il cocco e l’ananas. rispettivamente prodotti in thailandia, centro america e ghana. sono queste le materie prime che trovano maggiore rilievo sugli scaffali “dietetici”, fornite da diversi brand, noberasco compresa.
ora, servirà mica essere “econazisti” come li chiama jovanotti (altro capitolo), per capire che importare frutta secca dall’altro capo del mondo per buttare giù qualche grammo ha poco senso. infondo stiamo parlando di frutta secca. è mai possibile che la mia necessità di far sparire ste minchia di maniglie dell’amore debba passare per un viaggio di oltre dodicimila chilometri, quando posso mangiare frutta essiccata in abruzzo, toh.
dio santo basta girare la bustina per scoprire il paese di origine e rendersi conto dell’insensatezza dell’operazione, specialmente dal momento che una bustina di frutta secca costa in media un euro e cinquanta. poi vado a vedere sul sito di uno dei brand di grido del mango essiccato e trovo la seguente formula:
“selezioniamo con cura i frutti che vengono
coltivati ogni giorno da mani colme di
amore, fatica e rispetto. solo così la qualità
della nostra frutta rispecchia i nostri valori
di rispetto per le persone e per il pianeta.”
amore? rispetto? ma diamine, non l’avevamo superata questa fase? buon senso, innanzitutto. la mia dieta non vale un grammo di mango thailandese. e certamente non vale un volo di dodici ore. con tutto che ho paura di volare.
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