di testa sua
non era nemmeno più un artista, ma una tappa obbligata, come quei monumenti che devi vedere per forza se visiti una certa città; ecco, godard era come il colosseo per roma, come la cupola del brunelleschi per firenze, il flat iron building per new york: se studi cinema, devi amare godard a un certo punto. il che è un peccato, a mio modo di vedere, perché l’opera si trasforma in un luogo comune: c’è, esiste, perché va vista e basta, non perché la si vuole vedere, ma perché la si deve vedere. e dunque per tutti noi che abbiamo studiato cinema, che abbiamo fatto (o sognato di fare) cinema, è per forza di cose arrivato a un certo punto un momento “parigino”, per così dire, in cui si ascoltava soltanto jacques brel e le uniche ragazze interessanti erano quelle coi capelli corti, senza trucco, sofisticate e mortalmente noiose.
ricordo in particolare quando un giorno, per la lezione di storia del cinema, flavio de bernardinis ci mostrò un mediometraggio di godard, proiettandolo in pellicola originale nella sala cinema del centro sperimentale. io che a quel tempo ero l’apoteosi dello snobismo, l’über-radical da salotto, il trionfo dei paroloni in francese e della critica cinematografica di nicchia, sorrisi trionfante all’abbassarsi delle luci, incrociando con lo sguardo lo sconforto dei miei compagni. si trattava di una di quelle opere di godard tra le più illeggibili, una documentazione della protesta in fabbrica, in cui immagini statiche di operai al lavoro venivano intervallate da cartelli scritti a mano, il tutto accompagnato dal voice over più soporifero della storia del cinema. dopo meno di dieci minuti dormivano i miei compagni e dormivo anch’io. quando si rialzarono le luci in sala, gli altri si svegliarono, io no. la mia scarsissima credibilità rimase negli annali.
ma era così: studiavi cinema e in qualche modo anche la noia, i ritmi lenti, i jump cut, le interpretazioni asettiche, la mancanza di trama, tutti questi fattori potenzialmente mortiferi operavano su di noi il fascino immancabile di una rivoluzione alla quale non avevamo preso parte.
e dunque anche ci siamo conformati a certi codici, ci siamo imbrigliati in certi dogmi, abbiamo indossato una certa divisa: ed è un ossimoro, perché quei certi panni che abbiamo mutuato, appartenevano a chi, per definizione, non si è conformato mai; anzi, appartenevano a chi dell’anticonformismo ha fatto una cifra stilistica, la propria firma d’autore.
e poi no, godard non è morto; ma ha scelto di morire, ricorrendo al suicidio assistito in svizzera. è dunque morto come è vissuto: di testa sua, alle sue condizioni. che è tutto un altro paio di maniche.
oggi, con la scomparsa di godard, si è chiuso il novecento del cinema. che doveva succedere prima o poi, ma il lascito rimane pur sempre immortale. salutiamo dunque l’ultimo anticonformista - vero - del cinema mondiale. tutto il resto è netflix.
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