il cinema italiano fa - ufficialmente - schifo

il mio rocambolesco divorzio con roma e con il settore dell’audiovisivo mi ha spesso portato a considerare che il mio giudizio sui film italiani più recenti potesse essere viziato da un certo astio di natura personale. è anni infatti che fatico a lasciare una sala cinematografica provando meno di un blando disgusto nel migliore dei casi, vera e propria rabbia nel peggiore. poi però la critica sul giornale che dice “ma sì”, l’amico che commenta “ma dai”, le recensioni sul web “ma su” e dunque avevo finito per convincermi che il problema fossi io, i miei traumi professionali, il mio continuo prendermi troppo sul serio.

poi però vengo a sapere da la stampa di oggi che - in un’anomalia sempre più italiana - il divario tra film realizzati e box office si fa sempre più ampio, mostrando come i prodotti realizzati dal 2010 ad oggi siano più che triplicati (141 vs 481), laddove tuttavia meno della metà di questi raggiunge la sala (43%) e per di più con un ridicolo 21% di incassi proporzionale.

tutto grazie agli incentivi pubblici, fondi e crediti di imposta, che alimentano un circolo vizioso per il quale si produce molto, ma molto di più di quanto si guarda e soprattutto a prescindere da quanto si guarda. in parole povere: produrre conviene, aldilà di qualsiasi standard qualitativo.

ma guardiamo la fotografia della situazione in paragone all’estero. dall’articolo di fabrizio accatino:

“è vero che nei grandi paesi europei tra il 2019 e il 2021 (a cavallo della pandemia) si sono registrati cali di pubblico che vanno dal -54% della francia al -64% della germania. quello italiano è stato però il mercato più in sofferenza di tutti: -75%. inoltre, passato il 2020, l'anno più nero dell'emergenza covid, nel 2021 i numeri sono migliorati per tutti, dal +10% della germania al +68% della gran bretagna. per tutti tranne che per l'italia, dove l'emorragia di spettatori ha registrato un ulteriore-12%.”

dunque io sarò anche prevenuto e tutto, ma dati come questi dovrebbero mandarci a tutti il cervello in fumo. perché confermano quello che la mia stizza da anni ormai mi suggeriva, eppure a dirlo non sono io, attenzione, ma tarantino (nel lontano 2007, ma non è poi cambiato molto da allora), che accatino cita anche nel suo articolo:

«le pellicole italiane che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali. non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, ragazza che cresce, coppia in crisi, genitori, vacanze per minorati mentali. che cos'è successo? ho amato tanto il cinema italiano degli anni sessanta e settanta e ora sento che è tutto finito. una vera tragedia».

già, una vera tragedia. ma spiegalo a quelli che organizzano retrospettive per de sica (christian, non vittorio) all’ara pacis, che vogliono trasformare cinecittà in un luna park a tema, che celebrano asia argento con magniloquenti mostre fotografiche al centro sperimentale di cinematografia, che elevano fantozzi e lino banfi a interpreti imprescindibili della cultura italiana, spiegalo a quelli che girano film solamente in dialetto napoletano o romano, raccontando l’italia ancora e ancora soltanto come la macchietta mafiosa e malavitosa dei bassifondi più insondabili del paese, raccontalo ai direttori casting che ripropongono sempre-gli-stessi-dodici-attori-e-che-due-coglioni! film pensati male, scritti male, girati male, recitati peggio. ancora e ancora e ancora, in un circolo vizioso senza fine che sta rapidamente trasformando una delle patrie del cinema mondiale nella nuova casa delle telenovelas da primo pomeriggio. il tutto, ça va sans dire, a spese del contribuente e grazie a un ministro della cultura che è sopravvissuto a più legislature di xi jinping.

insomma, regalare soldi ai produttori romani non genera qualità (toh!), anzi affossa quel poco che era rimasto della settima arte in questo sciagurato paese. e provate a dirlo, quando capitate dalle parti di cinecittà, azzardatevi a mettere in dubbio il sistema folle che governa i fondi pubblici e che ancora si fonda su mignotte, raccomandazioni e parentele. perché un’altra bella cosa ha roma: che ride sempre di tutto, ma mai di sé stessa.

parole: 662

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