18 maggio 2013
soltanto pochi giorni fa, durante una chiacchiera (inusuale) di lavoro, mi veniva chiesto da un collega inglese quali fossero i miei rimpianti. è un cosiddetto icebreaker per facilitare lo scambio, forse tra i più diffusi, eppure è sempre stato in grado di mettermi in difficoltà. da oggi invece la mia risposta sarà sempre pronta, puntuale e priva di tentennamenti: 18 maggio 2013.
abitavo a roma e avevo appena concluso il mio percorso di studi alla scuola nazionale di cinema, con un certo sollievo e notevole delusione; non un periodo particolarmente felice. anche i provini faticavano a ingranare, al di là di non ottenere una parte, passavo molto tempo a casa a rimuginare. poi un giorno vengo contattato da un giovane regista, amico di amici, che mi chiama per offrirmi un ruolo, nessun provino, mi ha visto non mi ricordo dove se a teatro o in tv, e mi vuole per un progetto indipendente. soggetto di genere, dialoghi traballanti, troupe ridotta all’osso, ma meglio che niente, mi dico, senza farmi grandi aspettative sul compenso. poi, dopo le smancerie di rito, arriva il penoso silenzio che preludia il tema economico, ma il giovane regista mi spiazza: non posso pagare nessuno, purtroppo, mi spiace, so che non è bello, però mi domando se magari a te — se magari ti piacesse il tennis; sì, dico io confuso. ecco, l’unica cosa che posso offrirti è un biglietto per gli internazionali di maggio. pur dovendo mostrare sufficienza e scarso entusiasmo - tattichette che non mi sono mai riuscite - mi spertico in un entusiasmo sfrenato: era effettivamente anni che sognavo di vedere una partita di circuito dal vivo e gli internazionali cascavano a pennello in quelle settimane grigie. accetto dunque di buon grado lo scambio di prestazioni in cambio di un seggiolino per una partita del torneo romano.
il progetto procede poi a rilento. ci sono giornate intere in cui il giovane regista scompare, io intanto mando a memoria la sceneggiatura, ma dell’attrice con la quale dovrò lavorare nemmeno l’ombra; sprovvisto dunque di direzione e di spalla, provo le scene in mutande nella mia cucina, rivolgendomi alla gatta. passano le settimane e le date delle riprese vengono continuamente spostate e io non mi azzardo più a far menzione della partita di tennis: mostrarmi interessato mi porrebbe in una posizione poco dignitosa verso un impegno che evidentemente ho preso più seriamente io del suo stesso artefice.
intanto è passato così tanto tempo che gli internazionali sono già cominciati, il foro italico gremito viene solcato dai più grandi tennisti in circolazione e io, che non ho né sky né un biglietto per lo stadio, seguo i risultati su google, aggiornando la pagina ogni tre minuti.
poi uno di quei giorni, in tarda serata, il giovane regista mi chiama e, mogio mogio, mi annuncia che il progetto è saltato, si sono tirati indietro il direttore della fotografia e l’attrice, è desolato, si scusa, in imbarazzo, e aggiunge “ma se vuoi mi piacerebbe regalarti comunque il biglietto per la partita di sabato.” e io lo so, mentre me lo dice, che partita si gioca sabato. succede tutto in un attimo, mi mordo il labbro, mastico una bestemmia, tiro un calcio nel vuoto e rifiuto l’offerta: “grazie no,” dico con superiorità, “davvero non basta una partita a giustificare come ti sei comportato nei miei confronti,” e butto giù. per scrupolo vado immediatamente su internet e controllo, ma sì, avevo pensato giusto: sabato 18 maggio benoît paire sfida roger federer nelle semifinali degli internazionali di roma.
ecco, apprendendo oggi che mai più in vita mia mi capiterà di veder giocare il più grande tennista di sempre, vorrei poter tornare indietro e fare un discorsetto a quel giovane attore che poco o nulla c’azzecca con la persona che è diventato oggi. vorrei supplicarlo di non essere sempre il proprio peggior nemico, il più inutile ostacolo alla propria felicità, vorrei suggerirgli di mettere da parte l’orgoglio, di sopire di tanto in tanto quella rabbia sprezzante, quel senso di ostinata superiorità e di godersi quella preziosa fortuna che la vita ha in serbo soltanto per pochi tra noi. perché, nonostante il dispiacere e la rabbia, il mio pensiero consolatorio al tempo fu: massì, tanto mi ricapiterà di sicuro di veder giocare federer. ma non è vero e quell’opportunità non tornerà mai più. la storia ci sfila davanti ogni giorno, ma capita soltanto poche volte nell’arco di una vita di poterla sfiorare con mano. e io, quella possibilità, me la sono giocata nel maggio di nove anni fa.
questo avrei dovuto raccontare al collega inglese. gli raccontai invece di quando in quinta elementare scelsi latino invece di francese come terza lingua straniera. i grandi rimpianti. mannaggia a me, mi dico: mannaggia a me.
p.s. quella contro paire sarebbe rimasta nella memoria collettiva per la sua mediocrità. avrebbe vinto federer in due set per 6-7, 4-6, ma l’indomani si sarebbe andato a schiantare in finale contro il suo rivale di sempre nadal, molto più in forma di lui nella stagione del 2013, che vide il campione svizzero insolitamente sottotono per i suoi standard. una defiance di cui non frega nulla a nessuno, perché federer, da che mondo è mondo, non lo si guarda per vederlo vincere, ma per vederlo giocare.
parole: 874