soltanto un nome

quanto c’è in un nome? non si tratta certo di una domanda nuova, anzi; potremmo ripercorrere la storia dell’uomo, passando da shakespeare fino a cesare augusto, per comprendere quanto il nome di qualcuno o di qualcosa definisca la vita del suo intero contesto. 

la questione viene risollevata in questi giorni con il caso della pasta molisana. perché non è tanto - non solo - la narrazione di prodotto che ne è stata fatta sul sito del brand a suscitare indignazione, quanto i nomi stessi delle conchiglie rigate del pastificio di campobasso. 

andiamo per gradi. i formati che si chiamano “abissine rigate” e “tripoline lunghe” sono state fatte oggetto di critica per la descrizione che ne veniva fatta sulla scheda prodotto online: “negli anni trenta l’italia celebra la stagione del colonialismo con nuovi formati di pasta: tripoline, bengasine, assabesi e abissine. […] di sicuro sapore littorio, il nome delle abissine rigate all’estero si trasforma in “shells”, ovvero conchiglie. […]” e già qui il copywriter (non) si fa la domanda e si dà la risposta: all’estero, poiché di sapore littorio, si opta per un nome più rappresentativo e meno evocativo. parentesi: chi lavora in comunicazione lo sa - la colpa non è mai e non può e non deve essere mai del - solo - copywriter (la molisana non ha esitato un secondo a scaricare le responsabilità sul malcapitato), perché i passaggi interni prima di arrivare all’approvazione di un testo simile da parte di un brand tanto conosciuto sono innumerevoli (qualcuno qui, evidentemente, ha fatto lo struzzo). chiusa parentesi. ecco, se già avete deciso di mantenere nomi coloniali, forse non è il caso di rimarcare la scelta con enfasi sul sito (e il tono enfatico mi pare indisputabile). 

e dunque il punto uno (sollevato paradossalmente sulla scheda prodotto stessa): all’estero fanno accuratamente i conti con la propria storia - noi no. so che è un paragone ridondante e facile, ma è così: in germania questa cosa, molto semplicemente, non sarebbe potuta accadere. come non sarebbe potuta accadere in altri paesi colonialisti come l’inghilterra o la francia. perché un’azienda avrebbe solamente paura a pensare un’azione del genere, prevedendo una sommossa da parte dei consumatori. dunque, prima che insultante, trovo che la scelta della molisana sia sciocca.

ma il punto è un altro, perché la cosa che trovo più grave, proprio perché conosco i processi di approvazione aziendale di un prodotto e del relativo packaging, è il naming che è stato assegnato alla pasta. se infatti l’approvazione di un copy su sito deve passare al vaglio di almeno quattro figure (soltanto in agenzia, prima di passare al cliente vero e proprio), allora prima che il naming di un prodotto possa comparire sullo scaffale, parliamo di mesi e mesi interi di avanti e indietro tra decine di gradi di approvazione che - ed è questo che mi lascia sbalordito - hanno guardato i pack di “abissine rigate” e “tripoline lunghe” e, insieme (!), si sono dati gran pacche sulle spalle per l’ottimo lavoro svolto. 

e qui mi sorge spontanea la domanda: i clienti dormono sul pianerottolo per un refuso soltanto a no panic? chiedo per un amico.

a spada tratta, la molisana viene difesa da un accorato articolo sul blog del gambero rosso, che liquida i critici come cretini (ma parafrasando umberto eco, che fa più elegante), ma la questione è che o qui ci rendiamo conto - anche se mi pare folle doverlo specificare - che chi usa i social non sono (solo) sprovveduti ma la totalità dei consumatori, oppure abbiamo un grosso problema.

e qui rientra la questione del nome. perché io posso anche soprassedere sulla scheda prodotto, ma non posso far finta che i nomi che l’azienda ha scelto di dare a quello specifico tipo di pasta è, di fatto e innegabilmente, un nome fascista - ma fascista proprio, di epoca fascista. e se anche in epoca fascista si è trovato da “celebrare” il colonialismo (chiediamo a vespa per saperne di più), mi domando che diamine di bisogno ci sia di celebrarlo oggi, con nomi che indicano le donne (altro elemento sottovalutato) dei paesi che l’italia si è sentita in diritto di invadere e di saccheggiare. sì, perché la pasta si chiama tripoline e abissine, non tripolini e abissini (direte, certo: son conchiglie - eh no, non le hanno definite così poi all’estero?) e il fatto di indicarle al femminile non può far scattare una campanellina nel nostro cervello italico e rimandare alla canzone simbolo del fascismo “faccetta nera, bell’abissina; aspetta e spera che già l’ora si avvicina”. o sono completamente pazzo io? 

potevate chiamarle conchiglie, giusto? ma no, avete voluto chiamarle col loro nome fascista, lo avete scelto. ecco, a casa mia si direbbe: “cazzata immensa”. avete fatto una cazzata. provo poi a non immaginare perché le abissine fossero rigate, quanto mi pare invece ovvio il luogo comune sulle tripoline. dio santo. vale dunque tutto? forse che il manifesto della razza, anche quello un’invenzioncina mica male di epoca fascista, possa rappresentare un buon riferimento per la nuova campagna vaccinale? magari invece della primula potremmo metterci una svastica, perché no?

e allora: quanto c’è in un nome? risposta? tutto. tutto c’è, in un nome. il nome che ci diamo ci definisce in ogni nostro aspetto e caratteristica. ma c’è dell’altro ancora.

consiglio un film in proposito: si tratta di una commedia francese del 2012 intitolata le prénom (ovviamente in italia ci siamo sentiti in dovere di rinominarlo “cena tra amici”, accompagnato da una comunicazione che manco “natale sul nilo”). una perla di rara bellezza e profondità, magistralmente scritto e interpretato.

nel film troviamo a cena cinque amici che si conoscono sin dall’adolescenza: una coppia di intellettuali di sinistra parigini, l’altra coppia è politicamente di centro destra e il quinto amico è per sua natura timido e restio a esprimere pareri. la coppia di destra aspetta un bambino e fanno credere alla coppia di intellettuali di avere la ferma intenzione di chiamare il figlio adolphe, suscitando lo sconcerto degli amici. “adolphe con p-h-e,” specificano, “come il protagonista dell’omonimo romanzo di benjamin constant, emblema del romanticismo francese.” ma la coppia di sinistra è incredula, spiegando loro che sarebbe immorale, anche nei confronti del bambino, eppure i futuri genitori sono irremovibili: “è soltanto un nome,” e sollevano la questione “hitler non è diventato adolf hitler per via del proprio nome. allora non potremmo neanche chiamarlo joseph per via di stalin e neanche paul per l’assonanza con pol pot, corretto?” 

nonostante i toni da commedia, “cena tra amici” tocca delle tematiche estremamente profonde e, a tratti filosofiche (i cineasti francesi, in questo, sono maestri). il fatto, però, è che (nessuno spoiler, lo si scopre presto nel film) si trattava di uno scherzo, perché nessuna persona in buona fede chiamerebbe il proprio figlio - per quanto non letteralmente - come il più celebre dittatore di tutti i tempi. corretto? siamo tutti d’accordo, giusto?

ecco, allora torno a ripetere: quanto c’è in un nome?

morale: temo che prima che fascisti, abbiate peccato di leggerezza o, quantomeno, siete stati tanto tanto tanto pigri. e non serve dare la colpa ai social: i social - questo ficcatevelo nella zucca - sono i vostri consumatori. e i consumatori oggi sono molto più attenti di un tempo. 

che poi, è un problema di settore? a me ancora va di traverso la pasta “per famiglie tradizionali” della barilla. si comincia a non saper più che pasta mangiare.


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