ritorno

mi ero abituato a credere che il ritorno rappresentasse il conforto - o la desolazione - nel constatare l’immutabilità di ciò che si aveva abbandonato. lunghi viaggi in treno, navette dell’aeroporto, brevi trasferimenti in taxi, pregustando l’aria stantìa, il ragionevole disordine lasciato nella fretta della partenza, una tazzina in attesa di venire lavata, la polvere maturata negli angoli delle pareti. appuntamenti mancati oltre l’abitudine.

tutto ciò ho ritrovato a casa, ma una casa che non ho mai abitato, scatoloni, scaffali vuoti, il trailer di una vita che ancora non era stata consumata e che ora andrà costruita: aria stantìa, ragionevole disordine, tazzine da lavare, polvere da raccogliere. tutto da fare, tutto da pensare, una vita da vivere, giornate da riorganzzare.

nemmeno la cornice è più la stessa: una città che in dieci anni si è trasformata, abitata da cittadini nuovi, con nuove abitudini e nuovi sguardi. soltanto gli sprazzi di vie che, come un tempo, per istanti non sembrano città, ma centri di paese di provincia, autonomi, sufficienti a sé stessi. un cielo mai limpido, quello sì, è sempre lo stesso, opaco e lento, mentre sotto le scarpe corrono e le cravatte si scompongono.

non solo ritorno da una permanenza all’estero, ma anche ritorno al mio nido, dopo tanti anni; ritorno agli amici non più ragazzi, alle biciclette non più leggere di spensieratezza, ritorno a strade che non sono più mistero e avventura e libertà. ma percorsi di consapevolezza e fretta.

ritorno e scopro che nulla è immutabile, che è arrogante credere che i luoghi non vivano in nostra assenza. ritorno per vedere se sono ancora in grado di volare.

parole: 270

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