la minoranza

sai cosa stavo pensando? io stavo pensando una cosa molto triste: cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone. ma non nel senso di quei film dove c'è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un'isola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone: mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d'accordo con una minoranza.

essere “di sinistra” non ha mai regalato grandi emozioni a persone della mia generazione. cresciuti nel berlusconismo, abbiamo dapprima alzato la voce - finché ci è stato concesso - contro riforme razziste e ingiuste, contro governi composti da elementi violenti e pericolosi, contro l’avanzare di una mano invisibile che ci voleva consumatori sempre e a tutti i costi. epperò ci siamo persi la soddisfazione di essere maggioranza; in tanti, certo, uniti, bello, ma sempre minoranza. perché anche quando al governo, per qualche sciagurata ragione, i nostri eletti ci sono andati, è sempre finita in un rubabandiera spregevole e senza fondo, coalizioni fragili e risicate che hanno sempre dovuto cedere al compromesso di qualche poltrona scomoda che, puntualmente, era quella che faceva saltare il banco. e allora si ritornava di nuovo alla casella di partenza, risollevati da una ritrovata libertà data dalla mancanza di responsabilità. un sali e scendi tribolato che però ci faceva di nuovo sentire eroi emarginati, pronti a risorgere. si può dunque dire che il gradimento della sinistra è per tradizione inversamente proporzionale alla sua capacità di governare?

lo ha espresso molto meglio di me alfio squillaci in un editoriale comparso su likiesta nel 2012:

“è perché abbiamo perso che abbiamo vinto». sì, solo perdendo c’è un pezzo di sinistra che può attestare la propria funzione primaria: l’ideale come meta spirituale, la testimonianza come intima convinzione, l’opposizione come comportamento politico. anzi, nel peggiore dei modi essa perde, più può attestare la propria naturale idiosincrasia per l’esercizio del potere: il proprio, non il potere della destra, che essa invece inconsciamente vuole trionfante, prepotente, con lo stivaletto puntato sul proprio petto. perché la destra, come direbbe gadda, shakespearizza la sinistra.”

la narrazione vincente della sinistra italiana dunque parrebbe essere quella che ritrae l’orgoglio dello sconfitto. o almeno anche a me così è spesso parso.

eppure oggi che il partito guidato da giorgia meloni avrebbe secondo i sondaggi scavalcato il gruppo di centrosinistra attualmente al governo non ho provato alcun senso di eroico stoicismo, ma soltanto un sentore di sventura che prevedo abbattersi su questo paese nei prossimi anni di recessione. sebbene il pd non rispecchi la mia fede politica, è altresì vero che negli anni spesso - come tanti - mi sono turato il naso e a quel simbolo ho dato il mio voto per arginare ora questo ora quel movimento che a destra (o dove vi pare, non ho mai capito dove si trovasse il movimento del comico) risollevasse il capo; senza entusiasmo alcuno, ma anzi guidato da quello stesso romanticismo masochista e chisciottesco. eppure ho come la sensazione che a questo giro non ci sia davvero più nulla di eroico nell’essere minoranza. non ora, non negli anni che ci attendono. sarebbe anzi il caso di compiere uno sforzo politico affinché si raggiungesse nei prossimi anni una base solida su cui costruire legislature solide e capaci di uno sguardo di lungo respiro. perché oggi la sinistra si trova a gioire (in parte, giustamente) per l’intervento al potere di mario draghi, senza rendersi conto che questo è il più evidente sintomo del proprio malessere e delle proprie mancanze.

dopo la miserabile e grottesca debacle di zingaretti, di letta ancora non ci è pervenuta voce (bello il discorso inaugurale, eh, come sempre) e di leader capaci di convogliare correnti e correntine in un’unica coalizione di (centro-) sinistra ancora proprio non ce ne sono in vista; e se anche ci fossero, probabilmente non ne sapremmo mai nulla. se da un lato dunque è nobile sentirsi orgogliosi di appartenere a una minoranza (come ho riportato in epigrafe dal caro diario di nanni moretti - attenzione! si tratta di un film del ‘93), allora è anche vero che non è il tempo di sottrarsi alle proprie responsabilità e di crogiolarsi nella (fasulla) convinzione di appartenere a una compagine di illuminati incompresi.

torna a breve il tempo della resistenza al neo-fascismo, che possiamo benissimo contrastare scendendo in piazza, certo (magari!), ma che dovrebbe (ri)nascere dalle stanze di partito sotto la forma di una nuova chiamata alle armi per porre un muro di fronte al dilagante avanzare di ingiustizie e ideologie prepotenti e violente. non come nicchia elitista, ma come movimento che ambisca a essere maggioranza, con le orecchie aperte al presente, il cuore al passato e gli occhi piantati sul futuro.

forse oggi, per la prima volta, leggendo gli esiti del sondaggio, non sono stato orgoglioso di appartenere a una minoranza; questa mattina avrei proprio voluto essere maggioranza, esondante, ribelle, indignata, di colore rosso (che anche il verde ci piace, ma è già preso da quei cornuti).

ps. ciao franco, arrivederci e ciao.

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il coraggio di tacere