segreto

una volta soltanto ho confessato i miei segreti; fu a una ragazza di cui ero innamorato - quando non l’ho amata più, avevo il terrore di lasciarla andare con i miei segreti, ero spaventato all’idea che potesse utilizzarli per ferirmi o per rovinare l’immagine che gli altri avevano di me.

la situazione americana ha rievocato in me quella stessa sensazione di pericolo e incertezza.

la presidenza di uno stato, infatti, si fonda su un rigido patto di segretezza. al presidente viene concesso libero (o parziale) accesso ai segreti di stato - per necessità, il tempo del suo mandato, prima di passare il testimone insieme alle confidenze che ne conseguono.

ora, immagino che l’alto apparato statunitense abbia ragionato a sufficienza su questo aspetto, ma mi domando se siamo tutti pronti a fare fronte a questa possibile eventualità:

quanto amaro potrà mai essere il boccone che il grosso bambino vorrà far ingoiare, non soltanto al rivale che ha prevalso, ma al popolo intero che lo ha tradito?

come (troppo) spesso accade, tocca ricorrere a chi di segreti ne sapeva qualcosa e ne fece una grande verità; disse andreotti: “chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce.”

la morale? io ho corso il rischio e l’ho lasciata. non ne ho mai più saputo nulla.

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