quattro pizze ar pincio
per non saper né leggere né scrivere (è il caso di dirlo), centinaia di pischelli romani ieri notte si sono dati appuntamento sulla terrazza del pincio per suonarsele di santa ragione — senza mascherine, ça va sans dire.
sembra quasi normale che in questo 2020 di distanziamenti, gli adolescenti abbiano deciso di ammollarsi quattro pizze a piene mani; infondo è così che si celebra l’adolescenza, giusto?
ma la domanda vera resta una (e sempre la stessa): ma i genitori?
che possa trattarsi di educatori di terz’ordine che ancora credono (come lo credeva, a sua volta, chi li ha educati) che la violenza sia indispensabile alla sana e robusta costituzione di un giovane?
come si svolgono certi dialoghi, tra il divano e l’uscio di casa?
“aò do stai annà?”
“a menasse, pa.”
“ah, bravo, ma ‘n fa tardi che poi mamma se preoccupa.”
che non si siano messi le mascherine, poi, ha senso: già è ridicolo darsi appuntamento a centinaia il sabato sera per menarsi, figuriamoci se avessero indossato tutti la ffr2 a becco di papero.
l’unico riferimento pregresso, poi, di cui sia a conoscenza mi risulta essere quei ritrovi dell’intellighenzia di estrema destra a nome “cinghimattanza” — roba da duri — in cui decine di premi nobel, sulle note degli indimenticabili zetazeoalfa, si sfilano le cinte e cominciano a sbattersele in testa dalla parte della fibbia. il refrain recita così: “primo: me sfilo la cinta; due: inizia la danza; tre: prendo bene la mira; quattro: cinghiamattanza!”
c’è sempre da imparare dai fascisti.
ps. ho cominciato fleabag. carino! battuta stupenda: “non è bello fare jogging nei cimiteri” — “perché?” — “sbattere la vita in faccia ai morti in quella maniera...”
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