il dono (laico) della luce
pur non potendomi dire una persona spirituale nell’accezione più stretta, ho avuto - come molti, suppongo - momenti di palpabile spiritualità; attimi forse — neanche: battiti.
uno di questi mi colpì qualche anno fa quando per la prima volta, insieme ad amici, varcammo la soglia, il portale, dell’abbazia di sant’antimo, in val d’orcia.
sarà stato il perfetto allineamento di ogni casuale fattore, dall’orario alla splendida giornata di sole, ma ricordo con precisione quel battito (una decelerazione cardiaca, un rapido singulto, anzi) che provai osservando il crocifisso trafitto della luce che orizzontalmente filtrava dalla bifora dell’abside. uno spettacolo indescrivibile.
oggi, per caso, ho incrociato l’immagine di una chiesa in giappone disegnata da tadao andō.
la chiesa della luce è una delle architetture più famose di andō; interamente realizzata in cemento armato, si tratta di un parallelepipedo spoglio in cui l’essenzialità è portata all’estremo: nessun simbolo o icona e il pavimento e le panche sono stati realizzati con le tavole usate per i ponteggi.
ciò che rende questa struttura unica è la parete frontale, composta da quattro pannelli separati che lasciano tra loro lo spazio necessario a formare una croce che si estende agli estremi della parete. l’unica fonte di luce nella chiesa è dunque proprio la croce, tramite la quale filtrano il chiarore del giorno e della notte.
il committente si sarebbe imposto su andō, forzandolo a rivestire la croce di vetro — opzione aborrita dall’architetto. durante una lezione in università andō avrebbe commentato la disputa, rammentando gli studenti di imporsi sempre in quanto autori e che un giorno o l’altro, lui, quel vetro lo leverà.
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ad ogni modo, oggi quando ho visto quell’immagine, il cuore mi ha sussultato e il pensiero è andato dritto a quella memoria, qualche anno fa, a sant’antimo, d’estate, con i miei amici, a fissare la luce sulle spalle del cristo.
in un venerdì sera piovoso, dicembrino, del 2020 - per giunta - è stato un piccolo regalo (inatteso) che mi ha scaldato i piedi e la testa e la pancia.
«la natura alla quale lo spazio sacro deve rapportarsi è quella trasformata dall'uomo, in una certa misura modificata architettonicamente. credo infatti che quando la vegetazione, la luce, l'acqua o il vento vengono separati dalla natura e manipolati secondo la volontà umana, allora acquistano una valenza sacra»
— tadao andō
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