La mia salita

Ho cominciato a correre proprio su questa salita. Immagino che chi si approccia alla corsa lo faccia in piano, al parco, sulle vie dietro casa. Io un anno e mezzo fa, chissà come (ma poi lo so, è soltanto un’altra storia) mi prese di correre che ero in montagna e allora ho infilato la strada che va per boschi e sono salito su al Mottarone.

È una salita ripida, ma che ho imparato a mordere con dolcezza - lei mi ha insegnato  che correre piano è più difficile che correre veloci. La corsa lenta è il tipo di corsa che poi fa la differenza, quando serve. Almeno per me è così.

Mi mancherà tornare alla pianura. Quando sono in città poi ripenso spesso alla mia salita qui tra i boschi, ai tornanti, ai belvedere, alle improvvise radure, ai campi battuti dal vento. Non soltanto perché correre in piano sia più monotono - lo è - ma perché correre in salita è uno sport diverso, con tutto un altro sapore, più equilibrato, più giusto, non saprei come dirlo altrimenti.

Correre in salita ogni volta mi sembra essere la corsa per cui poi chiunque corre: in fuga non da se stessi, ma dall’abisso.

E poi la discesa. È la discesa che spezza le gambe. L’unica corsa per la quale vale la pena studiare qualcosina è la corsa in discesa, che se corsa male poi combina disastri.

Mi mancherà la mia salita, che ogni volta mi ricorda perché ho cominciato a correre, perché continuo a correre. Mi allaccio le scarpe e, per un’ultima volta, inforco i lacci delle racchette. C’è il sole.

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