Vedi, Milano?

Milano è una città inquieta. Non nel senso che si può immaginare: questo comune ritratto che ne viene fatto, di una Manhattan in miniatura, dove tutti si camminano addosso a grandi falcate. Milano alla fine è un paesone. Chi scambia Piazza Affari per Wall Street non è mai stato a New York.

No, Milano è una città inquieta perché è sempre alla ricerca di una propria identità. Una città - ad esempio - che fatica a costruire quattro piste ciclabili in croce, tra i reclami dei commercianti e le rimostranze dei cittadini, ma che sogna la micro mobilità di Copenhagen. A Milano mi posso dunque imbattere in una bicicletta elettrica della Lime col seggiolino posteriore. Può succedere. Un’immagine lunare, che può inizialmente dare un’impressione positiva, di avanguardia: “Vedi, Milano?” Ma no. Nessuno sano di mente alle 8 del mattino carica il figlio sul seggiolino. Andare in bicicletta a Milano è già pericoloso a sufficienza per sé stessi. Una città che non ha posti all’asilo a sufficienza, dove le metro non hanno gli ascensori e quindi i passeggini vanno portati per le scale affidandosi alla cortesia dei passanti. “Vedi Milano?”

Ma poi ci sono i brand. E i brand hanno in mente tutta un’altra città, perché chi ci lavora dietro, ai brand, ha vissuto, è stato a New York, appunto, a Copenhagen. E dunque ha visto. E dunque dipinge sulla grande tela della comunicazione di marca una città che non esiste: la città che vorrebbe, una città da cartellone pubblicitario, da spot patinato. Una città dove io la mattina mi sveglio, lavo e vesto il bambino, prendo un casco per lui e uno per me, estraggo la mia app e cerco una bici Lime col seggiolino nei paraggi e spendo 7€ per portare il bimbo all’asilo. Se esiste questa città, per piacere, datemi un pizzicotto.

Io, invece, vedo una città inquieta. Con tanti pregi, ma anche molti limiti. Poi sì, sognare non costa niente. Basta lavorare in pubblicità.

parole: 327

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