Sull’altare della vanità

Mi ritorna in continuazione alla mente l’ultima volontà di Alain Delon, che sarà stato anche bello e tutto, ma certo non brillava per umanità.

Desiderare, in punto di morte, che il proprio cane - l’essere che, a sua detta, è quello cui teneva di più al mondo (pensa gli altri) - venga soppresso “per risparmiargli lo strazio”, beh, richiede un senso di sé e del mondo a dir poco smisurato.

Eppure, più ci penso, meno mi pare una richiesta tanto assurda, dati i nostri stili di vita. Se infatti di primo acchito si tratta di una volontà degna soltanto di un faraone, dall’altro canto interpretare i desideri di chi non ha voce rientra tra gli aspetti più retrivi della nostra cultura.

“Sapere cosa è meglio per lui,” è il compasso infallibile della nostra educazione. “Tanto non sente dolore,” il modo più rapido di giustificare le nostre abitudini alimentari.

Sèntiti ripetere un’esistenza intera che sei l’uomo più bello del mondo, è evidente che la vita di un cane - ai tuoi occhi - possa venire sacrificata sull’altare della vanità.

Non per la tua famiglia, evidentemente.

Una volta sigillati per sempre gli occhi più belli del mondo, il cane potrà continuare a vivere. Possiamo soltanto immaginare il suo strazio, se avesse potuto si sarebbe certamente gettato tra le fiamme della pira.

Infondo noi, siamo poi tanto migliori di Alain? Il mondo, si sa, finisce con noi. Più o meno a ogni pasto.

parole: 239

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