Unicorn è libera
Mi porge una stretta di mano decisa, mentre le sue ditina ossute scompaiono nel mio palmo. Ha le sopracciglia rosa shocking, i capelli corti con un crestino ingellato, le labbra sottili brillantinate, tutta una borchia, tutta un orecchino, simboli metal. Non ha più di undici, dodici anni. “Come si chiama?” chiede con un sorriso guardando mio figlio, che non è dell’umore migliore questa mattina. Oliver, le dico. “Che nome carino!” dice. E tu? le chiedo. Dunuqe mi stringe la mano e dice: “Unicorn”, traboccante di orgoglio. “Beh, il tuo è un nome fichissimo!” le dico e lei sembra scoppiare di gioia e nell’arco di due fermate mi racconta la storia della sua vita, sotto lo sguardo paziente e buono della sua mamma. La mamma, una persona normalissima, anonima quasi, la osserva e annuisce, senza intromettersi, senza giustificarla. Unicorn mi fa sentire bene questa mattina, la sua smisurata libertà è frutto evidente di un genitore che non le ha posto limiti, che non le ha impartito decine di “non si fa”. Il sorriso di Unicorn ha anche placato il pianto di mio figlio per qualche minuto. Una bimba alla ricerca di sé stessa, leggera, aperta al mondo, a sorriderci, a raccontarci. Non sarà facile, soffre già e continuerà a soffrire moltissimo, lo si poteva vedere distintamente, per Unicorn il mondo è ancora uno sgabuzzino angusto, ma un giorno, presto, anche a lei spetterà la sua fetta di serenità. E avrà il sapore dolce della vittoria.
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