Mucho
Di quel video mi piace tutto. Mi piacciono i due signori che cantano, i loro abiti scuri, le loro cravatte noiose, i loro volti. Ben rasati. Non capisco cosa dicono, ma lo dicono bene e anche il pubblico ride, ma lo fa con garbo. Non c'è nulla di forzato, nulla di sguaiato in quasi sette minuti di video, tutto scivola via come un sospiro. Anche i loro nomi mi piacciono tantissimo, sono una carezza, Veloso, puoi avere un nome più delicato? João Gilberto. La chitarra non è più di un soffio, le loro voci rimangono una vibrazione, un abbraccio leggero. Non hanno uno sfondo, non c'è scenografia, potrebbero essere ovunque e i colori a fatica sfociano al di fuori del grigio. Come dice “mucho” Veloso. Come se stesse dando un bacio sulla guancia a una ragazza. Adoro come dice “mucho” Veloso.
Io questo video lo guardo regolarmente da oltre dieci anni. Ci sono giorni che dal nulla mi ritorna in mente, in bici, al lavoro, sul tram, e allora devo riguardare tutto il video subito e mi sento avvolto dalla tenerezza di due uomini ai quali mi sembra di volere bene come a dei cari amici. Spero che tutti abbiano un antidoto come questo alla malinconia di certi momenti della vita, di certi giorni che non sono né belli né brutti, ma che semplicemente necessitano di un Veloso che dice “mucho” come se ti stesse abbracciando e tu sprofondi con lui in quel fondale scuro, ad ascoltare le dita di Gilberto che scivolano lungo le corde come gocce di pioggia sul vetro di una finestra in autunno. Come una goccia di cera lungo una candela. Così.
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