15 minuti
“If a nation were to launch an intercontinental ballistic attack against the United States, the president would have about 15 minutes to decide whether to order a nuclear counterstrike. And it is entirely the president’s decision. Should any one person have that much power?” Il 7 marzo W.J. Hennigan poneva questo quesito nella sua colonna di opinione sul New York Times. Una sola persona e quindici minuti di tempo per decidere le sorti dell’umanità. Non dovrebbe essere soltanto un quesito da articolo di giornale, ma andrebbe presentato ai cittadini sulla scheda elettorale. È questa la persona alla quale vorresti affidare la “black box”? La affideresti a Biden? A Trump? O, come si domanda Hennigan: a chiunque altro?
Ho ripensato a questo articolo oggi, quando mi è stata proposta dall’algoritmo una delle scene più raccapriccianti che la politica abbia mai offerto: Donald Trump, durante un comizio, che imita la balbuzie di Biden, accompagnato dalle sguaiate risate del suo uditorio, rancoroso, pieno di puro odio. Si tratta di un nuovo limite valicato dall’ex presidente, quello in cui ci si fa beffe delle debolezze fisiche dell’avversario. L’ho trovata una scena di una violenza inaudita, volgarissima, spietata quasi, da bullo di terza media.
Ce l’ha già avuta, Trump, la busta con i codici di lancio. E ci è andata bene. Ma pensare a quello spropositato potere, pensare a quei quindici minuti, a quel bullo nella situation room, da solo con la sua immaturità, con la sua infinita ignoranza e pochezza d’animo, pensare alla nostra salvezza nelle sue minuscole mani, ecco, questo dovrebbe toglierci il sonno.
Soltanto a un Salvini può piacere uno così. Un vecchio che schernice un balbuziente. E si dicono il pilastro dell’Occidente. La più grande democrazia del mondo. Che paura.
parole: 289