Un coltello dalla lama spuntata

L’ISIS - ancora vivo e vegeto - rinnova il suo appello alla Jihad dei cosiddetti “lupi solitari”. Nell’ultimo suo bollettino, lo fa usando una formula che mi ha molto colpito, cioè invitando ad avvalersi del coltello che si trova si trova in ogni casa. 

Mi ha curiosamente riportato alla mente il celebre saggio di Mamet - tra i testi sacri a ogni cineasta - in cui questi si avvale della metafora del coltello per illustrare la necessità di alzare progressivamente la tensione in ogni drammaturgia. “I tre usi del coltello”, appunto; semplificando:

  1. Tagliare il pane: questo rappresenta l'uso più basilare e quotidiano del coltello;

  2. Farsi la barba: questo secondo uso indica un'applicazione più personale e intima dello strumento;

  3. Uccidere la donna che ti ha tradito: questo terzo uso simboleggia l'impiego più drammatico e estremo del coltello.

L’ISIS non ha evidentemente letto Mamet. Però quando si appellano ai coltelli nelle case occidentali, in verità compiono un gesto implicitamente drammaturgico, che ha millenni sul groppone: mettono il pericolo nel quotidiano, l’eccezionale nell’ordinario, svelano il segreto dell’intimità e della calma apparente. 

È il male prossimo, la minaccia, certo, ma anche la soluzione implicita: se tutto è minaccia, niente è minaccia. Anche con un libro si può uccidere, è l’uso che se ne fa. Appellarsi al coltello è da persone con scarsa fantasia, quali sono i jihadisti. Perché c’è un elemento, nei tre usi del coltello, che questi maniaci non possono cogliere, ed è l’ironia. Per il semplice fatto che nel medesimo oggetto risieda nutrizione e distruzione, maternità e rovina, ogni sceneggiatore riesce a pagare le bollette. È nel pensare il coltello unicamente come strumento di morte che si palesa la sconfitta del fanatico: finché ci sarà qualcuno che sceglierà di utilizzare il coltello per sfamare l’affamato, per recidere la corda di un condannato a morte, per scavare il giaciglio a un seme, il mondo sarà salvo. 

Dei nostri coltelli non abbiamo da temere. Dalla mancanza di ironia, invece, sì. E adesso vado a sbucciarmi una mela. Che ho fame.

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