Tanto rispetto
Eccolo dunque, il mio nuovo medico di base. Gli occhi buoni e scuri, le mani ben curate, lo sguardo concentrato e un poco stanco che scorre le mie analisi. Non sorride, non si può definire di indole simpatica, ma si sente nei silenzi che si tratta di una persona riflessiva e competente. Risponde alle mie domande prendendosi qualche secondo per riflettere, stringendo un poco gli occhi, poi risponde con inflessione araba, scivolando le consonanti e addolcendo gli spigoli più intransigenti del tedesco.
Mi dice che sto bene, che gli esami sono a posto. Poi le domande di rito, se fumo, se bevo, se faccio sport. Prima che mi congedi gli propongo la ricetta italiana per le mie medicine: avrebbe la possibilità di commutarle in ricette tedesche, gli chiedo. Verifica uno dopo l’altro i principi attivi sul computer, mi chiede dettagli, posologia, storico. Poi mi restituisce la ricetta, mi regala il suo primo sorriso e dice “Mi spiace, ma non posso. Ho troppo rispetto di questi medicinali per prescriverglieli a cuor leggero,” e mi rimanda a uno specialista.
Mi colpisce l’uso che fa del termine “rispetto” in relazione ai medicinali. Lo trovo di infinita grazia e gentilezza. Di certo non ho sentito molti medici che gestiscono le prescrizioni con rispetto; con attenzione forse, con parsimonia, con cautela, questo sì, ma il rispetto è cura, è riguardo, è in qualche modo una forma di amore per i propri strumenti. Il rispetto è vieppiù diventato merce rara, specie nell’ambito medico, dove troppo spesso - vuoi per gli effetti psicologici dovuti al periodo pandemico, vuoi per la carenza di personale - mi è capitato di sentirmi meno un paziente e più un cliente, trattato con sufficienza e con cottimistico sussiego. Un medico che ha "troppo rispetto” per un medicinale è un medico che prende ancora il proprio mestiere con serietà e passione, con vocazione verso il paziente.
La clinica dista da casa nostra meno di un chilometro. Sarà bello da oggi in avanti sapere quel rispetto tanto vicino a noi.
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